Rivoglio la mia vita di Veronica de Laurentiis

Per la prima volta il gruppo delle ore 18.00 si è cimentato in una autobiografia: storia vera, documentata anche dalle carte processuali, di Veronica De Laurentiis, figlia di Dino e di Silvana Mangano, cresciuta in un mondo ovattato ma privo di affetti, timidissima e sola, quasi vittima predestinata di diverse figure di carnefici che non ne hanno avuto pietà, in una perfida spirale senza uscita, a partire dai genitori stessi per arrivare agli uomini che segnarono la sua vita con la loro violenza e crudeltà. Tutti i lettori hanno apprezzato il coraggio e la forza con cui Veronica ha scelto di raccontare questa tragica storia, riuscendo anche a far condannare il marito che aveva abusato delle due figliolette. Oltretutto la tremenda vicenda è una prova lampante che dimostra come la violenza sulle donne attraversi tutte le situazioni e classi sociali, anche quelle più “insospettabili” quale potrebbe essere la famosa famiglia del cinema italiano. Tuttavia, a parere unanime del gruppo, diverse ragioni e perplessità fanno sì che il libro non sia piaciuto o comunque sia stato ritenuto non convincente dal punto di vista narrativo: il racconto non cattura, non si crea empatia tra la narratrice e i lettori che rimangono come distaccati, freddi, probabilmente perché la qualità della scrittura (coautrice è Anne Strick) non è elevata e lo stile è abbastanza scadente, forse anche perché si tratta di traduzione dall’inglese. Molto accesa è stata la discussione sulla “veridicità” della storia che, pur essendo certa, durante la lettura è stata spesso messa in dubbio dal lettore che ne coglieva la paradossalità, l’eccesso, l’incredibilità…pur nella consapevolezza che le storie di violenza sulle donne (vedi caso Asia Argento) suscitano sempre reazioni simili. Non ci sono pagine particolari da segnalare, se non alcune efficaci descrizioni di Silvana Mangano, come quella in cui è mollemente adagiata sul letto e copre la lampada con una sciarpa di chiffon. Le perplessità maggiori del gruppo riguardano il finale del libro, ovvero quella sorta di lieto fine in cui Veronica riprende in mano la sua vita…grazie a un uomo! Quello giusto, stavolta!? Ma tutti noi in verità ci saremmo attesi una rinascita personale di ben altro genere, una presa di coscienza di Veronica indipendentemente da qualsiasi marito, perciò un epilogo tanto banale è sembrato povero anche come messaggio conclusivo.

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La novella degli scacchi di Stefan Zweig

Le pagine, poche ma molto intense, della novella hanno regalato una vertigine a tutti i lettori. La tensione si mantiene costante per tutta la lettura e tutti siamo stati catturati dall’enigmatico dottor B. e dal racconto della sua esperienza di estrema resistenza. Si procede catturati nella lettura proprio per scoprire e comprendere come sia riuscito a salvarsi dalla prigionia e dalla pazzia e, contemporaneamente, per seguire la sfida a scacchi con l’avversario, il campione professionista grezzo e ignorante. Alcune pagine sono state talmente apprezzate per l’efficacia e la forza stilistica che le abbiamo condivise leggendole ad alta voce. In particolare la pagina in cui il dottor B., prigioniero e isolato dal mondo da mesi, ruba dalla tasca della giacca di uno degli ufficiali un libro che contiene centocinquanta memorabili partite di scacchi disputate dai più forti giocatori del mondo. Molto intensa e angosciante anche la pagina in cui è descritta la prigionia del dottor B. in una stanza d’albergo in cui non c’è assolutamente nulla, dove l’unico contatto con il mondo esterno era scandito dai periodici interrogatori. Questo metodo raffinato di tortura psicologica a cui è sottoposto il dottor B. è un aspetto del nazismo che non ci era conosciuto e ci ha molto impressionato. L’autore ha inserito nella breve novella davvero molti temi, con un equilibrio mirabile: l’oppressione, il potere dei libri e degli scacchi (e quindi dell’intelletto e della cultura) come strumento di salvezza ed evasione, l’acuta e moderna analisi psicologica dei personaggi, la descrizione perfetta di uno stato di paranoia, la contrapposizione simbolica tra due uomini che incarnano due visioni del mondo opposte. Zweig racconta e descrive tutta questa complessità con grande chiarezza, con un linguaggio preciso e uno stile piano e apparentemente semplice. Abbiamo ripercorso la storia personale di Zweig, scrittore e intellettuale austriaco di enorme successo, ebreo, europeista, umanista e pacifista, convinto che la cultura potesse essere la base comune su cui costruire un’unione europea, contrario ad ogni nazionalismo. Esule con l’ascesa del nazismo, prima negli Stati Uniti e poi in Brasile, e infine suicida insieme alla moglie nel 1942 all’apice del nazismo dopo aver scritto il suo ultimo racconto, proprio la Novella degli scacchi. Toccante la sua Dichiarazione d’addio che abbiamo letto insieme, in cui saluta gli amici e il mondo esprimendo riconoscenza e serenità. Alla luce di questa tragica fine, la novella non può che essere letta come una metafora sul tramonto dei valori spirituali e culturali del “mondo di ieri” con il trionfo dei nazisti e l’avvento di nuovi soggetti sociali. Zweig è ritenuto oggi da alcuni critici e storici della letteratura un autore secondario rispetto ai Grandi suoi contemporanei, criticato per uno stile banale e compiacente i gusti del largo pubblico; anche le sue posizioni sono state giudicate da alcuni nostalgiche ed elitarie. Il gruppo non ha però condiviso questi giudizi così negativi. La novella ha influenzato altri autori e produzioni: il romanzo La variante di Lüneburg di Paolo Maurensig, letto e consigliato da una lettrice, deve molto della sua ispirazione alla Novella degli scacchi. Anche il regista Wes Anderson si è ispirato
alle opere di Zweig per creare le atmosfere belle epoque di Gran Budapest Hotel. Nel 1960 Gerd Oswald ha adattato per lo schermo e diretto chachnovelle, tratto dal testo di Zweig. Il film è uscito in Italia con il titolo Scacco alla follia.

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