L’incontro del 3 ottobre 2019 di Pagina21 è stato dedicato al tema della salute e della malattia mentale. In questo modo il gruppo di lettura del Multiplo ha aderito alla Settimana della Salute Mentale, iniziativa promossa dall’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia, dal Centro di Storia della Psichiatria, dalle Associazioni di volontariato, dai Comuni della nostra provincia, dalla Scuola, dall’Università di Modena e Reggio.

Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato di Alberta Basaglia e Giulietta Raccanelli

Il diario di memorie d’infanzia di Alberta Basaglia, figlia dello psichiatra Franco, ci ha permesso di scoprire una famiglia eccezionale, facendoci conoscere il coraggio e la dolce, simpatica fermezza della sua autrice.

Franco Basaglia, insieme alla moglie Franca Ongaro e a psichiatri, intellettuali ed operatori sanitari, fu l’artefice di una vera e propria rivoluzione nella psichiatria e nella società italiana, ispirando la Legge 180/1978 che introdusse la revisione degli ospedali psichiatrici in Italia promuovendo fondamentali trasformazioni nel trattamento dei pazienti. Alla base vi era l’idea che chi si trovava nelle strutture sanitarie doveva diventare persona da aiutare e non da recludere o isolare: questo comportava ad esempio l’eliminazione della contenzione fisica, delle terapie con elettroshock e dei cancelli chiusi nei reparti.

Lo sguardo di Alberta, che da bambina assiste al fermento in casa che accompagna questa rivoluzione, ci riporta un ritratto di profonda coerenza. Nella famiglia Basaglia non esiste separazione tra i normali e i diversi, la diversità è anzi vista come una risorsa, la porta di accesso a creatività, senso artistico, sensibilità speciali. È così che viene “trattata” la diversità della piccola Alberta che, pur soffrendo di una grave malattia della vista, non viene mai compatita o limitata per questo. Anzi, il suo sguardo sghembo sembra darle un punto di vista acuto, mai banale e scontato sulle cose e le permette ad esempio di dipingere enormi cieli bianchi e azzurri che dal padre vengono chiamati “le nuvole di Picasso”. La rivoluzione che conduce Basaglia nell’ospedale dove lavora è la stessa che vive in famiglia e nella società, esprimendo con coerenza e concretezza la sua fedeltà a un sogno di libertà e uguaglianza, l’impegno a cambiare il mondo senza retorica.

Per i Basaglia niente è impossibile, ma soprattutto non si capisce perché bisognerebbe pensarlo. La loro casa è sempre aperta, la promiscuità e le contaminazioni portano energia e fantasia, nella loro quotidianità si respira un affetto per la dignità di tutti i destini. I bambini crescono così imparando con naturalezza a non giudicare gli altri. Una lezione eccezionale, grazie a genitori davvero speciali, che sono riusciti a far vivere nel modo più naturale questa “originalità”, senza strappi e imposizioni.

Il libro è accessibile e scorrevole, di semplice lettura grazie a uno stile piano ma ricco di immagini e colori : così anche i temi complessi possono arrivare in modo semplice a tutti. I lettori hanno colto la sincerità e l’intelligenza del messaggio: ha colpito molto l’attualità della battaglia di Basaglia perché in molti contesti è ancora difficile considerare le persone come esseri umani e non identificarle con la malattia o il disturbo di cui soffrono, ancora oggi il diverso fa paura e viene tenuto a distanza.

Allo stesso modo è innegabile quanta strada sia stata fatta e le pagine che descrivono le condizioni di vita e di “cura” all’interno del manicomio hanno sconvolto molti lettori, anche perché si riferiscono a un passato molto recente. Gli ultimi capitoli del libro infatti raccontano la ricerca che Alberta conduce sulle condizioni delle bambine nei manicomi di Venezia e la lettura delle cartelle cliniche avrà un impatto molto forte su di lei, tanto da spingerla a intraprendere una strada di militanza a difesa e sostegno delle donne, vittime spesso di condizioni di disagio.

Il libro è stato apprezzato da tutti lettori per il tono delicato, fresco, ironico della prima parte, con i ricordi di un’infanzia speciale. C’è una netta cesura stilistica e di tono nella seconda parte, dedicata all’indagine negli archivi del manicomio. Queste pagine, più crude e drammatiche, non sono state apprezzate da tutti: per qualcuno è stato un inserimento superfluo, non necessario a giustificare l’impegno dedicato da Alberta nella vita adulta alle fragilità contemporanee.

Ma forse le due parti non sono così separate: dalla vicinanza alle bambine rinchiuse, dalla domanda, “a cosa sarei stata condannata?” nasce l’idea di scrivere questo quaderno privato, che rivendica la scelta di non dimenticare mai che “tutti, proprio tutti – maschi, femmine, matti, malati, bambini, bambini malati – dovevano avere una possibilità per poter vivere la loro vita”.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico di Ascanio Celestini

Un libro frutto di anni di ricerca, nei quali Celestini ha ascoltato e raccolto in giro per l’Italia storie di manicomi. Nicola ci racconta i suoi 35 anni di «manicomio elettrico», e nella sua testa scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili illuminazioni.

L’autore è abile nel farci entrare non solo in un manicomio, ma soprattutto nella testa di Nicola e nel suo modo di vedere e vivere la vita: ci racconta esperienze orripilanti con il sorriso sulle labbra, con l’ingenuità di un diverso, un reietto, dell’emarginato perché strano, scomodo per i normali che saremmo noi, che siamo fuori e ci sentiamo tranquilli.
Attraverso le testimonianze e le memorie di infermieri, medici e pazienti Celestini costruisce un ritratto vivido e angosciante dell’abominio dei manicomi e dell’elettroshock. Un luogo di isolamento e non di recupero, dove si compie la completa disumanizzazione di persone, alcune volte deboli, altre semplicemente spaventate, spesso troppo sensibili.

Celestini rende questo sfacelo tragico con il suo stile quasi comico che a tratti fa sorridere amaramente: insieme alla realtà di fatti crudi, si inseriscono visioni oniriche e folli di una mente disturbata e bisognosa di cure più umane, nel rispetto della dignità umana. Il libro risulta così toccante e intenso, profondo, perché le angosce e le paure dei matti sono ben vive dentro ognuno di noi.

Per alcuni lettori, questo breve libro è risultato difficile e sconcertante. La voce del protagonista racconta in modo confuso, non lineare, sgrammaticato, a volte irritante e disturbante, la sua misera vita. Il risultato espressivo è molto forte, la lingua contribuisce a creare il protagonista e sembra di sentirne la voce, di vederlo, senza filtri. Alcuni comportamenti possono provocare fastidio, distacco: spesso infatti la malattia mentale si manifesta in comportamenti che compromettono la relazione con gli altri.

Un altro elemento di difficoltà è il fatto che la storia è raccontata due volte, da due narratori: il protagonista e Nicola. Queste due voci si intrecciano, si confondono… fino allo sconcertante svelamento finale.

Alcune immagini sono molto forti e ricorrenti: le chiavi, simbolo del potere in una struttura chiusa come il manicomio; il buio, che terrorizza e amplifica l’isolamento e sperdimento di una mente inquieta.

È un testo da leggere d’un fiato, proprio per immergersi ed entrare nel mondo e nella sensibilità di Nicola, arrivando a sentire sulla nostra pelle la sensazione di essere alienati, estranei a un mondo dominato da regole assurde. Sentiamo la paranoia, veniamo trascinati dentro ai ragionamenti e fantasie strampalate di Nicola. E quindi, chi è il matto?

È stato molto interessante il contributo di una lettrice, che ha condiviso con il gruppo i ricordi della sua infanzia spesso a contatto con il manicomio di Reggio Emilia, il San Lazzaro, perché il padre vi lavorò per decenni come infermiere. È stato utile per comprendere il punto di vista di chi dentro al manicomio ci lavorava in un’epoca in cui ancora non erano contemplate alternative al contenimento dei malati.

Leggi la pagina 21 di questo libro.