La Mennulara di Simonetta Agnello Hornby

La Mennulara è uno di quei libri che è stato capace di riscuotere un apprezzamento pressochè unanime nel nostro gruppo, tanto da suscitare in molte il desiderio di leggere altri libri dell’autrice, in particolare quelli caldamente consigliati da Gabriella (Caffè amaro e Piano nobile). Ambientato in Sicilia dai primi del Novecento fino al secondo dopoguerra, è un libro che racconta la storia incredibile di una donna, fotografando la vita e la società di un paesino, dove maldicenze e preconcetti nascondono spesso la verità delle cose.

L’inizio ci sorprende con la morte, il 23 settembre 1963, di Rosalia Inzerillo, detta la Mennulara per essere stata in gioventù raccoglitrice di mandorle. Domestica a servizio della famiglia Alfallipe fin dall’età di 13 anni, aveva in realtà ricoperto, grazie alla brillante intelligenza, un ruolo ben più importante di quello di cameriera, arrivando ad amministrare i beni della famiglia. Infatti, nonostante non fosse in grado di scrivere ma solo di leggere, la Mennulara era diventata il cardine centrale della famiglia sia dal punto di vista affettivo che da quello economico: le sue capacità nel gestire i beni avevano consentito a ogni componente della famiglia di continuare a fare ciò che ognuno preferiva, senza preoccupazioni materiali.

Tutti in paese ne parlano perché si favoleggia della ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c’è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. Senza di lei Orazio Alfallipe, uomo sensuale e colto, avrebbe dissipato proprietà e rendite. Senza di lei Adriana Alfallipe, una volta morto il marito Orazio, sarebbe rimasta sola in un palazzo immenso. Senza di lei i figli di Orazio e Adriana, Lilla, Carmela e Gianni sarebbero cresciuti senza un futuro. Eppure i tre fratelli, tornati nel deserto del palazzo di famiglia, credono di avere tutti dei buoni motivi per sentirsi illusi e beffati dalla donna, apparentemente rozza e ignorante, che ora ha lasciato loro uno strano testamento.

Allo stesso tempo, l’intelligenza e la caparbietà della Mennulara erano riuscite nel tempo a sfruttare le non-occasioni della sua vita, trasformando in elementi positivi e a suo favore tutte le grandissime disgrazie da lei subite, dalla morte del padre, alla responsabilità di mantenere la sorellina e la mamma malate, allo stupro subito.

E proprio attraverso le opinioni degli abitanti del paese, si sviluppa il resoconto della misteriosa vita di Rosalia: di capitolo in capitolo, il racconto si svolge attraverso un diverso io narrante, in cui la figura della Mennulara emerge al di sopra degli altri personaggi, fino a delinearsi come un affresco completo solo alla fine: uno straordinario ritratto di donna e insieme una grande storia siciliana.

Il racconto si muove in due direzioni diverse. Da un lato ci sono il presente e l’immediato futuro, dall’altra il passato. Sul primo versante troviamo i discendenti della famiglia Alfallipe nominati eredi dell’insospettabile ricchezza della defunta. Inizia così una rocambolesca caccia all’eredità piena di cavilli, trabocchetti e prove da superare che la Inzerillo ha predisposto prima di morire per mettere alla prova l’onestà, la correttezza e la riconoscenza di quelli che lei ha sempre considerato come suoi figli, ma da cui non ha mai ricevuto quanto dato. L’avidità, la tracotanza, l’ingratitudine giocheranno agli stessi un brutto scherzo. Sul secondo versante, il passato, ripercorriamo la vita della protagonista attraverso ricordi, pettegolezzi, congetture di chi, per un motivo o per l’altro, ha avuto a che fare con la Mennulara nel corso della sua vita.

Oltre ad una efficace rappresentazione storica e sociale, vero punto di forza è la capacità dell’autrice di far cambiare totalmente la percezione che si ha della protagonista nelle prime pagine: da tiranna carnefice a creatura romantica, epica. Questa storia è la storia del suo riscatto.

È piaciuta la scrittura piana e quasi musicale che piano piano cattura il lettore in un gioco non sempre facile di messa a fuoco: tantissimi sono i personaggi, alcuni solo accennati, altri egregiamente scolpiti (Pietro Fatta, Carmela, il medico, il parroco), sfuggenti i punti di vista che si alternano tra chi ama e chi odia la Mennulara, continue le incursioni nel passato per restituire tessere del mosaico mancanti: uno stile che fa di questo libro un grande romanzo corale e che si avvale dell’ironia nelle pagine in cui sono narrate le meschinità della famiglia Alfallipe, oppure quando la protagonista si autofirma Signor La Mennulara!

Dicevamo del generale consenso riscosso da parte del Gruppo di Pagina 21, tanto che per trovare punti di debolezza abbiamo dovuto mettere sotto esame la copertina dell’ultima edizione, che ci è apparsa decisamente non riuscita, più adatta a un romanzo rosa e sicuramente frutto di un’operazione commerciale, soprattutto se paragonata con la copertina originale e la sua poetica esplosione di fiori di mandorlo. A voler essere critici, anche il linguaggio utilizzato dalla Hornby quando fa parlare i personaggi può essere tacciato di scarsa realtà, nel senso che parlano tutti un italiano medio con rare tracce di sicilianità: eppure bastano alcune espressioni emblematiche (criata, fimmina di panza, cònsolo) per restituirci intero il mondo della Mennulara.

Perché non ne è stato ancora tratto un film? Questa l’ultima osservazione del gruppo.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

Come un respiro di Ferzan Ozpetek

Ferzan Ozpetek dà vita a un thriller dei sentimenti, che intreccia antiche e nuove verità trasportando il lettore dall’oggi alla fine degli anni Sessanta, da Roma a Istanbul, in un susseguirsi di colpi di scena, avanti e indietro nel tempo.

È una domenica mattina estiva e una coppia sta preparando un pranzo nel proprio appartamento al Testaccio in attesa dell’arrivo di due coppie di amici. In questa situazione di pigra routine irrompe un evento misterioso: una sconosciuta si presenta alla porta, chiedendo di poter rivedere un’ultima volta l’appartamento in cui molti anni prima ha vissuto. Il suo sguardo sembra smarrito, come se cercasse qualcuno. O qualcosa. Si chiama Elsa Corti, viene da lontano e nella borsa che ha con sé conserva un fascio di vecchie lettere che nessuno ha mai letto. E che, fra aneddoti di una vita avventurosa e confidenze piene di nostalgia, custodiscono un terribile segreto. Riaffiora così un passato inconfessabile, capace di incrinare anche l’esistenza apparentemente tranquilla dei sei amici, segnandoli per sempre.

Chi ama l’opera di Ozpetek regista ha ritrovato con piacere nel romanzo la stessa intensità dei film e molti temi cari all’autore: il legame e alternanza tra passato e presente, il fascino misterioso dell’Oriente, l’accenno all’omosessualità, la convivialità come momento di gioia da condividere con gli amici o la famiglia e anche come scenario per lo svelamento di segreti e segrete connessioni. Ma anche dettagli ricorrenti come l’immagine simbolica della finestra che rappresenta il passaggio e la connessione con il passato.

Il romanzo ha lasciato anche molte perplessità in tanti lettori, alcuni delusi, altri non pienamente convinti. L’impressione generale è che potessero esserci delle buone potenzialità – una storia intrigante, una scrittura rapida e visiva, una costruzione interessante – ma lo sviluppo del romanzo non mantiene le attese e la lettura finisce lasciando poche tracce. Alcuni lettori sono arrivati quindi alla fine insoddisfatti, per il sentimentalismo espresso con passionalità forzata ed estremizzata, per il linguaggio mediocre, per l’intreccio amoroso non così misterioso ma piuttosto banale e alcune situazioni grottesche o inverosimili.

Il romanzo si dipana su due piani temporali e spaziali: il passato ci viene raccontato dalle lettere di Elsa, il presente si svolge tutto tra le quattro mura dell’appartamento, che pare quasi il palco di un teatro in cui si muovono le due sorelle davanti alle tre coppie di amici, nel ruolo di spettatori. Le due parti risultano un po’ slegate e non equilibrate: il racconto epistolare è vivo e colorato, le lettere appassionate di Elsa ci catapultano nel mondo affascinante di una Istanbul da sogno e libertina, mentre le scene nell’appartamento risultano più piatte e meramente strumentali all’avanzamento delle vicende, con personaggi sbiaditi e appena abbozzati, come una cornice un po’ artefatta dentro cui far svolgere il racconto. Chi è davvero Elsa Corti? Come mai tanti anni prima ha lasciato l’Italia quasi fuggendo, allontanandosi per sempre dalla sorella Adele, cui era così legata? La risposta a queste domande e la soluzione del mistero arriva in modo quasi affrettato e superficiale, lasciando delusi proprio sul finale. Adele racconterà tutta la storia ai sei sconosciuti ricostruendo i fatti, ma senza svelare in profondità il proprio animo e i propri sentimenti.

Il tema su cui poggia la storia è la rivalità tra sorelle, due donne forti segnate da un’infanzia traumatica che le unirà in modo indissolubile. Adele è la sorella timida, introversa e remissiva; Elsa invece, è quella solare e coraggiosa che fugge dall’Italia per una vita libera e audace. Due sorelle indivisibili che a causa di bugie, gelosie e asti distruggono il loro legame e vivono due vite separate. Il loro rapporto ambivalente si rispecchia in tanti piccoli dettagli, ad esempio nel loro aspetto e abbigliamento (intenso e colorato per Elsa, elegante e neutro per Adele). Oltre alle due sorelle, la vera protagonista è Istanbul, evocata e celebrata come una città magica, sensuale e tollerante, con i suoi antichi hamam in cui tutto può accadere, i palazzi ottomani che si specchiano nel Bosforo, i vecchi quartieri oggi scomparsi. Molti lettori si sono lasciati trasportare sognando di visitare la città o ripercorrendo viaggi del passato, con la curiosità e preoccupazione di sapere se anche nella Turchia di Erdogan siano rimaste intatte l’apertura, la modernità di questa città al confine tra occidente e oriente.

“Come un respiro” è una storia pensata e scritta come se fosse film, quindi forse merita essere letta come se fosse una vera e propria sceneggiatura cinematografica. Una storia che nel finale non risolve tutto ma lascia interrogativi aperti, permettendo al lettore/spettatore di formulare il proprio finale.

Leggi la pagina 21 di questo libro.