Confidenza di Domenico Starnone (Giovedì 2 febbraio 2023 )

Il libro di Starnone ha ricevuto un’accoglienza piuttosto fredda: delusione delle aspettative, mancanza di coinvolgimento, scarsa empatia per lo sconcertante personaggio protagonista, e anche una certa irritazione per il mancato disvelamento della confidenza del titolo. D’altra parte, esclusa la potente stroncatura di un lettore, sono emersi anche alcuni giudizi convintamente entusiasti, e sono stati riscontrati diversi punti di forza.

Tornano in questo romanzo, il terzo di una trilogia, temi già presenti in Lacci e Scherzetto, come il tradimento, l’ambizione, l’intimità e il rimpianto. Anche la struttura ricorda i precedenti, per la suddivisione in tre capitoli e per il cambio di focalizzazione, che vede nella prima parte Pietro condurre la narrazione, poi Emma, la figlia ormai cresciuta, e infine Teresa, l’ex allieva e sua prima fidanzata: la sua voce chiude la narrazione e sancisce la resa dei conti.

La confidenza è, per lo scrittore, l’essenza dell’amore: gli amanti, in un ambiguo “matrimonio etico”, assumono allora il ruolo di sorveglianti l’uno delle confessioni dell’altro, delle incertezze, delle fragilità, dell’indifferenza, della smania di perfezione, di quella profonda angoscia di sentirsi mediocri. Non ci sono nefandezze che non possono essere condivise, perché la relazione è un’alleanza, un patto di segretezza e di unione che grida “noi due insieme contro il mondo intero”. Il libro inizia con una fine, quella del rapporto tra Pietro e Teresa, dopo tre anni di relazione tormentata e una notte trascorsa sul letto a raccontarsi i loro segreti più intimi: “Facciamo che io ti racconto un mio segreto così orribile che nemmeno tra me e me ho mai provato a raccontarmelo, e tu però me ne devi confidare uno equivalente, qualcosa che se si sapesse ti distruggerebbe per sempre”.

Forse la pagina migliore è proprio quella iniziale, con un incipit folgorante: “L’amore, che dire, se ne parla tanto, ma non credo di aver usato spesso la parola, ho l’impressione, anzi, di non essermene servito mai, anche se ho amato, certo che ho amato, ho amato fino a perdere la testa e i sentimenti. L’amore come l’ho conosciuto io, infatti, è una lava di vita grezza che brucia vita fine, un’eruzione che cancella la comprensione e la pietà, la ragione e le ragioni, la geografia e la storia, la salute e la malattia, la ricchezza e la povertà, l’eccezione e la regola”.

La scrittura di Starnone è scorrevole e trascinante, procede a ritmo basso per gran parte del tempo, poi di colpo accelera, si distende, si contrae, dalle descrizioni degli stati emotivi interiori e dalle riflessioni passa di colpo al dialogo tra i protagonisti: un andamento pendolare, perfetto per il suo stile cristallino e diretto.

Pochi sono i nodi centrali attorno a cui si sviluppa il romanzo: quel che resta dell’amore, che Pietro definisce una «smania che storce e distorce, un’ossessione senza rimedio»; poi c’è lo sguardo degli altri come ossessione, gratificazione, ma anche misura della propria inadeguatezza; il terzo nucleo è rappresentato dalla trasformazione dei segreti dei due amanti da atto di fiducia in strumento di ricatto.

Il salto dalla finestra (desiderato e sfiorato nell’infanzia) rappresenta il rischio che Pietro vorrebbe correre ma non corre mai, a cui aggiungerà, poco oltre, la paura di essere scoperto nell’atto di saltare. La vita di Pietro, a causa, oppure proprio grazie a Teresa, procede secondo il ritmo ansioso della paura, esplode in una carriera edificante che lo rende modello e punto di riferimento per altri, e innesca l’ascesa che si dovrebbe concludere con il riconoscimento pubblico dei suoi meriti. Ma Starnone non salva mai nessuno: se non esiste l’amore, ma esistono solo la dipendenza, le smanie e le ossessioni, dunque non esiste nemmeno riconoscimento pubblico senza vergogna. La sua strategia di mostrarci fragili gli uomini, sempre precarie e compromesse le relazioni umane, e di sottintendere che ci sia sempre un disinteresse di fondo per ciò che si realizza in una vita (famiglia, relazioni, lavoro), fa in modo che Pietro raffiguri se stesso come un orgoglioso impostore.

Così l’autore mette a nudo le ambiguità degli esseri umani e sottolinea la poliedricità delle relazioni affettive che intrattengono: l’abilità di Starnone sta nel rendere ogni personaggio così umano da farlo diventare quasi insopportabile, in particolare Pietro. Tutti i personaggi sono per ragioni diverse, e in modi differenti, dei bugiardi. Non che dicano esplicite bugie, e neppure grandi bugie; praticano piuttosto la tecnica dell’autoinganno, sono dei piccoli borghesi, con famiglie modeste alle spalle, e conflitti irrisolti e irrisolvibili, che trascinano con sé per decenni.

Il paradosso per il lettore avido è che, alla fine, di quel famoso segreto non si parla mai: sarà un peccato mortale, forse un reato? E proprio il fatto di non parlarne sposta l’attenzione dal segreto all’uso sadico che se ne fa, escludendo a priori per il colpevole la possibilità di essere perdonato.

Il lieto fine non può esserci, è solo la fine. La fine di tutto, di noi che non siamo niente nemmeno rispetto ai risultati che raggiungiamo. Il personaggio raccontato da Domenico Starnone è eclettico, pieno di sfaccettature, intrigante e odioso allo stesso tempo. Lo scrittore riesce a calamitare l’attenzione proprio grazie a questo uomo che sembra racchiudere in sé tutti i difetti del mondo ma si mostra perfetto a chi lo guarda da fuori. Un libro che ci ricorda quanto sia importante per noi l’apparenza.

In sostanza questa storia vuole dirci quanto sia fragile il terreno su cui si regge la costruzione della nostra identità; un doloroso infinito tentativo che Pietro insegue per tutta la sua esistenza, e non realizza mai: alla fine, quando ci si attende una morale, Pietro si dilegua, fugge, e ci fa temere di assomigliargli tremendamente, perché forse siamo tutti dei mediocri traditori di noi stessi.