Carne e sangue, di Michael Cunningham

È un libro che ha catturato gran parte dei lettori del gruppo: dopo i primi capitoli un po’ faticosi, anche i più refrattari che sospettavano si trattasse della “solita storia americana” già letta, sono stati piacevolmente risucchiati dal vortice avvolgente della lettura, pur avvertendo i brividi di quella carne evocata nel titolo e il colore cruento del sangue che tinge molte delle storie raccontate. Perché il libro di Cunningham è crudo e impietoso nello scavo psicologico e nell’immergersi nelle scene più abbiette. Questo è l’aspetto più negativo riscontrato da alcuni, insieme all’eccesso descrittivo fin nei minimi dettagli e alla molteplicità di personaggi che si avvicendano. Per alcuni lettori, infatti, la ricchezza di eventi, di personaggi e di sentimenti risulta eccessiva e stancante e l’esasperazione dei tratti caratteriali, delle scene di sesso e delle tragedie sono suonati tanto eccessivi e forzati da non risultare coinvolgenti. L’accumulo di dettagli ha fatto anche pensare a rimandi sotterranei e simbolici, da interpretare e decodificare, come se sotto alla trama delle vicende famigliari scorressero altri profondi significati nascosti.

La storia copre un arco temporale di cento anni esatti, nei quali si svolge la vita della famiglia Stassos. È nell’America del 1935 che il sogno di Constantine Stassos, otto anni, emigrato dalla Grecia con la sua famiglia, ha inizio, dalla misera porzione di orto dove i suoi genitori e i suoi fratelli l’hanno relegato, da dove promette di tornare trionfante con un raccolto fatto crescere tra rocce e terra secca, nascondendo in bocca la terra buona da sputare sopra i suoi semi. Un sogno che diventa metafora quando Constantine cresce, conosce Mary e la sposa, creando con lei la tipica famiglia americana, tirata fuori dalla povertà col duro lavoro quotidiano del capofamiglia. I tre figli Susan, Zoe e Billy, sono per Constantine il simbolo della conquista di uno spazio, di un futuro e di un amore che a lui è stato negato. Ma quanto sangue e quanta carne ci vogliono, mischiati al sudore e ai soldi, per poter dire d’aver raggiunto una vera felicità, seppur fatta di cose ordinarie? Gli anni passano, i figli crescono e sviluppano identità difficili, alla perenne ricerca di qualche cosa, nello sforzo di arrivare a capire cosa significhi essere davvero felici. Constantine non è un padre da amare, così chiuso nella sua fortezza fatta di obiettivi materiali, di esagerato e pacchiano lusso, di comportamenti consolidati che lo allontanano da tutto. E infatti la famiglia esploderà, i figli e la moglie scapperanno in direzioni diverse, cercando alternative a quel cliché soffocante. Ma quello che affascina in questa saga degli Stassos, non è tanto la trama (che pure è di per sé avvincente, così ricca di colpi di scena), ma il mondo che riesce ad evocare, il clima che l’autore sa farci respirare, in senso metaforico e reale, visto che ogni suo personaggio emana una specie di profumo che ce lo rende riconoscibile.

La storia degli Stassos ci viene presentata dall’interno dei personaggi. Di loro vediamo la facciata convenzionale ma soprattutto conosciamo i loro pensieri, sappiamo cosa vogliono davvero e intuiamo la loro disperata lotta di mantenere il controllo tra la facciata e le loro passioni che spesso collidono. La moglie perfetta, il marito lavoratore, il figlio maschio in cui si ripongono le speranze, la figlia leale sono come gli archetipi che lottano contro il loro ruolo predestinato, un ruolo disegnato loro dalla società, un ruolo che magari hanno scelto ma che non corrisponde alle loro reali aspirazioni e desideri; così combattono una lotta che li lascia spossati e spesso soli. Non è un caso che chi riesce a ritagliarsi uno scampolo di serenità, se non di vera felicità, sono i personaggi che ad un certo punto si scrollano di dosso la maschera e vivono la vita secondo le loro regole.

L’autore non è mai indifferente davanti al male che spesso, irrimediabilmente, i personaggi causano a coloro che amano, e così anche noi lettori ci sentiamo vicini e ci affezioniamo a questi uomini e donne, pronti a chiudere gli occhi sulle loro debolezze e devianze.

Per molti lettori infatti tutti i personaggi di questo libro hanno dei risvolti positivi, nessuno di loro è completamente da condannare, perfino Constantine che pure in molte occasioni si manifesta rude, aggressivo, autoritario e violento, eppure ci rattrista quando alla fine rimane solo e senza nulla, non gli resta che il piccolo orto che aveva da bambino, ed è questa la punizione riservata a chi non sa vedere il futuro. Come sempre a Pagina 21, la discussione sui personaggi, sulla loro natura e sulle loro azioni è stata animata e ha messo in luce posizioni diverse: per alcuni Constantine incarna tutta la negatività possibile, per altri è Mary a deludere, con il suo modo freddo e distaccato di essere madre; una lettrice si è soffermata sull’antitesi dei giovani nipoti, Ben e Jamal. Molti hanno apprezzato il personaggio di Cassandra, drag queen irriverente, intelligente, dura, ironica e generosa. E tutti hanno amato il percorso vincente del personaggio-chiave Billy, ribattezzato Will una volta conseguita coscienza della propria identità gay, quando si slancia con adolescenziale furore in un inseguimento la cui unica meta è la vita (“Avanti avanti avanti avanti”,  grida nel momento più spericolato del «Balletto d’auto»). Il suo successo esistenziale, la conquista di un senso pieno del tempo da vivere, è raggiunto, e lui sarà il solo dei tre fratelli capace di attraversare indenne le tempeste della sua famiglia, in grado di costruire un futuro non minacciato dalla dispersione. Il lavoro di maestro, con la sua trasmissione di significati e di valori alle generazioni successive, esprime anch’esso un aspetto di questa costruzione che culmina nel destino di crescere, insieme al compagno Harry, Jamal, il figlio della sorella Zoe. E proprio a Jamal è affidato il compito di siglare l’ultima pagina del romanzo dopo la morte di Will, nel 2035.

E dunque il tema profondo del romanzo è forse il senso del tempo e la ricerca di significati durevoli, capaci di sfuggire alla dispersione. Il fatto che la narrazione si concluda con la dispersione, appunto, di ceneri , potrebbe indurre a credere che la scommessa sia stata perduta.

E invece di Will sopravvivono porzioni cariche di significato, perché Will sopravvive tutto intero, se quel nipote “abusivo” che non lo ricorda erediterà dal nonno insieme al nome un sistema di valori che configura una nuova relazione fra genitori e figli. “Io le sento”, è l’ultima battuta del romanzo, riferita al rumore delle ceneri e delle ossa nella cassettina che il piccolo Will ha in mano. E al conflitto narrato nei capitoli precedenti sembra sostituirsi, in questo futuro, un nuovo patto fra le generazioni, capace di includere, accanto all’intesa serena fra padre e figlio, la memoria dei nonni. Ma questa volta c’è da credere che i due, padre e figlio, potranno collaborare, e che il bambino non dovrà nascondersi la terra in bocca per trovare un suo spazio.

La scrittura magistrale di Cunningham riesce a creare quel vortice capace di catturare il lettore di cui dicevamo all’inizio, una scrittura che richiede dedizione, silenzio, ascolto, con la sua attenzione ai dettagli del quotidiano e la sua propensione ad assumere un ruolo quasi etico, perché per Cunningham narrare vuol dire esplorare il senso della vita, interrogare la realtà e il mondo così com’è, un mondo di contraddizioni e di rapporti di forza.

Straordinario è anche il modo in cui Cunningham sa descrivere il carattere di ciascun personaggio in due modi complementari: il primo prevede una discesa all’interno del personaggio da parte di un narratore che fa da filtro; il secondo modo implica la registrazione dell’io attraverso un altro personaggio, Billy è narrato secondo lo sguardo del padre, e questi attraverso quello del figlio; la vita di Billy al college è intuita per mezzo delle riflessioni della madre Mary… Anche l’utilizzo del dialogo è molto efficace per farci procedere nella comprensione della psicologia dei personaggi, senza l’ingerenza della voce dell’autore. E la realtà non sta mai nella psicologia di un soggetto solo, ma nella relazione fra le psicologie, perché ogni personaggio è portatore di un destino che solo la relazione con gli altri illumina e qualifica.

Leggi la pagina 21 di questo libro.