Di chi è la colpa di Alessandro Piperno

La vicenda inizia con un episodio tratto dall’infanzia del protagonista che una mattina riesce a salvarsi dalle punizioni corporali di un supplente grazie al padre che invece di portarlo a scuola gli regala una gita al mare. A partire da quel momento, la storia si dipana facendo emergere una famiglia in equilibrio precario, assillata dai debiti e dai dissesti economici prodotti dalle avventure imprenditoriali del padre e governata in maniera integerrima da una madre dogmatica e tenace. Una famiglia nella quale è in corso un eterno litigio. Il primo punto di svolta ha luogo quando il protagonista scopre l’esistenza di un ramo facoltoso della famiglia con cui sono stati interrotti i contatti anni prima: i Sacerdoti, una ricca e illuminata casata di origini ebraiche. La seconda parte del romanzo segue il protagonista lungo una traiettoria di allontanamento e riavvicinamento, marcata dall’assillo di stabilire le responsabilità e di attribuire le colpe. Infatti il romanzo di Alessandro Piperno esplora le ambiguità dei legami familiari e dei vincoli di sangue, attraverso la lente deformante della colpa, e tutto accade tramite lo sguardo retrospettivo del protagonista.

La discussione si accende facilmente tra sostenitrici convinte, seppure in minoranza, del valore indiscutibile di questo libro, e perplesse detrattrici per non dire stroncatrici dello stesso: è la logica conseguenza della precisa scelta dello scrittore che ha dedicato ben cinque anni a confezionare un romanzo che insieme attrae, irrita e interroga. E queste diverse reazioni non sono da riferire solo alla storia in sé ma in primo luogo alla scrittura stessa di Piperno, al suo stile volutamente barocco, travolgente ed estroso, ma anche irritante, nel dilungarsi per oltre settecento pagine stracolme di ridondanze e di citazioni dotte o un lessico tanto forbito da costringere il lettore medio a ricorrere più volte al dizionario.

Accade così che le recensioni più esaltanti sostengono che il libro deve molto del suo fascino alla padronanza di questa lingua acrobatica e ottocentesca, e paradossalmente le stroncature affermano che proprio in questo stanno i limiti di Piperno, troppo supponente e concentrato a farci vedere quanto è vasta la sua cultura. Si deve ammettere che molte lettrici, seppure faticando all’inizio, si sono lasciate trascinare dalla prosa travolgente e hanno amato questo libro, altre invece non sono riuscite a farsi catturare e hanno abbandonato la lettura oppure hanno rivendicato il diritto del Lettore di “saltare le pagine”.

Da tutti è stata condivisa la sensazione che l’autore, dichiaratamente impegnato a scrivere un romanzo di formazione vittoriano, nella seconda parte omette di sciogliere i nodi che un narratore onnisciente a un certo punto districherebbe, accompagnando il lettore verso una conclusione o scioglimento. Invece gli interrogativi rimangono, i dubbi persistono, arriviamo a un finale affrettato, poco esaustivo e pieno di lacune il lettore è costretto ad interpretare… come solitamente accade nel romanzo contemporaneo: questo è per lo meno contraddittorio. E quello che continua a disturbare il lettore è l’impressione di non uscire mai, nemmeno per un istante, dai labirinti dell’ego smisurato del protagonista. A parte Francesca, ritenuta unico personaggio positivo con una propria evoluzione, gli altri personaggi sono parsi più come delle macchiette messe a rappresentare vari clichè. Lo stesso protagonista (senza nome o personificazione dell’autore?), con l’egocentrismo e la superficialità che lo caratterizzano lungo tutto il suo percorso da bambino ad adulto, hanno fatto sì che i lettori non riuscissero a empatizzare con il personaggio, provando vera e propria antipatia nei suoi confronti.

Rimane poco chiaro un punto cruciale del romanzo, ossia quale sia la colpa cui il titolo si riferisce: si tratta forse dell’ingiusta detenzione del padre, o della conflittuale relazione padre-figlio, di cui peraltro si parla troppo poco? oppure la colpa consiste nel non aver mai avuto il coraggio di essere sé stessi?

Gli estimatori del romanzo hanno trovato lo stile del romanzo divertente e, per quanto “barocco”, molto originale con un’intrigante mescolanza di causticità e ironia e riflessione.

Passione semplice di Annie Ernaux

Definito ora romanzo breve, ora racconto lungo, Passione semplice del premio Nobel Annie Ernaux, scritto nel 1991, accomuna molti lettori nella sensazione di essere avvolti dalla storia fin dalle prime pagine, catapultati dentro al monologo della protagonista, senza dover attendere diverse pagine di lettura per entrare nella storia.

Pur essendo autobiografico, informazione che si apprende da ricerche sull’autrice francese, il libro non presenta tale dicitura, come molti altri scritti di Ernaux che, pur basandosi su esperienze vissute dall’autrice, rimangono per sua volontà prive di un legame dichiarato in modo aperto con lei. Ernaux si definisce “etnologa di se stessa”, e in questo molti lettori han visto la volontà da parte della scrittrice di scrivere passaggi autentici della propria vita, ma col distacco del tempo. Un esempio, citato da molti, è quello de “L’evento”, dove la donna descrive un aborto vissuto in prima persona, ma a distanza di anni, riuscendo così a esaminare sentimenti e atti con la lucidità di un io narrante esterno, eppure coinvolto nelle azioni e nelle emozioni, ma col giusto distacco di un osservatore, di uno scrittore privo di giudizio e capace di analisi.

In ” Passione semplice”, molti sono colpiti da questa capacità di estrema limpidezza e onestà; un misto tra empatia totale che si prova verso la situazione, un’assenza di filtri, la sensazione di leggere qualcosa di vero e autentico e una scelta stilistica e narrativa dalla perizia quasi chirurgica.

Molte le discussioni sulla dichiarazione iniziale dell’autrice rispetto alla scrittura, che per lei dovrebbe essere simile all’atto sessuale, con una sospensione assoluta del giudizio morale. Per molti una dichiarazione poetica, la scelta di non condannare né esaltare storia e personaggi, ma lasciare che fluiscano fuori, nella loro verità, dalla penna del creatore.

Nel caso di ” Passione semplice” si tratterebbe di fissare sulle pagine, senza giudizio, la storia di un’emozione sessuale travolgente, di una passione- appunto, che l’autrice riporta senza pudori o omissioni, pur concentrando il fulcro del libro non già sulla relazione fisica, mai descritta, o sull’oggetto del proprio desiderio – un bellissimo straniero senza nome del quale poco o nulla vien detto -, ma sul “prima e dopo”.

L’ossessione derivata da una travolgente attrazione, da una passione totalizzante. Ernaux lascia molto dell’immaginario emotivo al lettore, descrivendo soprattutto gli atteggiamenti della protagonista che precedono e seguono gli incontri fisici con l’amante, e qui per alcuni si esplica la citata “sospensione di giudizio” iniziale: il lettore comprende che la descrizione dei fatti è stata scritta dopo la tempesta interiore della narratrice, alla quale son seguite una introspezione e infine una risoluzione, ma coglie anche l’intensità del momento cruciale, quello dell’ossessione, quando atteggiamenti ritenuti eccessivi o impossibili da attuare, sono diventati reali e concreti nel vivere qualcosa di tanto travolgente. Il personaggio della protagonista perde ogni controllo della propria vita, e la scrittrice ci pone di fronte a ciò che è capace di fare una persona travolta da un sentimento così forte: è capace di tutto, di atteggiamenti e comportamenti prima giudicati insensati, poi messi in atto di fronte alla realtà della situazione, come acquisti superflui, scaramanzie, letture di oroscopi, riti personali legati all’assenza del momento di passione, che molti lettori paragonano alla crisi di astinenza di una persona tossicodipendente, perennemente in attesa di una “dose”, ossessionata da essa fino all’incapacità di vivere normalmente, o di vivere le cose di prima.

L’elenco di tali atti o perdite di controllo diviene “croce e delizia”, e la vita della protagonista viene presentata come quella di un’entità dipendente dalla passione, non più capace di vivere al di fuori, ma pure incapace di allontanarla al momento di viverla…

Colpisce il punto di vista dell’autrice che evidenzia le ambivalenze di una tale passione che provoca angoscia e struggimento nei momenti di assenza e attesa, ma anche uno stupore e meraviglia mai vissute prima con questa intensità. La conclusione della storia descrive questa passione come un “lusso”, perché porta l’autrice ad “avvicinarsi al limite”, a esplorare aspetti non conosciuti di sé e delle relazioni umane. Fiamma che arde, brucia, si spegne. Ma lascia anche ceneri di ricordi, di cambiamento, di introspezione, di osservazione di se stessi prima e dopo l’evento, raggiungimento di un altro livello di coscienza.

Lo stile della Ernaux è per molti veritiero, coinvolgente e senza compromessi, pur riconoscendo una parte di distacco dovuta alla descrizione della passione ormai giunta a termine, quindi a posteriori. Per altri, risulta troppo distaccato e freddo per descrivere un tipo di emozione così totalizzante da paralizzare chi ne è colpito in un “cunicolo vuoto” fino all’ incontro seguente. Per altri, l’emozione scaturisce dai dettagli e i piccoli gesti e cose descritte, come nell’autore Ishiguro, e non vi è bisogno di descrizioni appassionate, poichè emergerebbero da tali atti da riconoscere, e percepire emotivamente nel loro significato profondo ma non esplicato con ovvia drammaticità o coinvolgimento.

Se i giudizi sono in gran parte positivi, e il coinvolgimento totale nella storia viene avvertito da subito, autentico e reale, c’è chi avverte nel libro una mancanza di evoluzione dei personaggi, della storia; una staticità descrittiva su un unico argomento che non muta e non trova risoluzione.