Le intermittenze della morte di Josè Saramago (Giovedì 6 aprile 2023 )

A partire dalla mezzanotte del 31 dicembre, in un paese non specificato, la gente smette di morire. Senza alcun preavviso, la Signora con la falce si prende una pausa. Quella che a prima vista potrebbe apparire come la più agognata delle fortune, si trasforma ben presto nell’incubo più temuto: nessuno muore, ma non si guarisce dalle malattie terminali, non ci si risveglia dal coma, non si torna in salute. Ed ecco che i cittadini iniziano a sperimentare uno strano sgomento: la paura di vedersi invecchiare senza potersi accomiatare dal mondo, intrappolati in un corpo vecchio e avvizzito. Gli ospedali e le case di riposo scoppiano, le agenzie di pompe funebri e le compagnie di assicurazione subiscono un crollo, anche la Chiesa entra in crisi: senza morte non esiste resurrezione né regno di Dio, mentre la “maphia” specula e si arricchisce. Ma è la stessa morte ad ammettere che si è trattato di uno sbaglio e riprenderà la sua attività, ma con una variante: annuncerà ai cittadini il momento della loro dipartita da questo mondo con una settimana di anticipo, per mezzo di una lettera viola, così che tutti possano chiudere le questioni in sospeso.

Il nuovo meccanismo mortifero si inceppa il giorno in cui la lettera viola indirizzata ad un violoncellista solitario, torna indietro al mittente, alla morte appunto, che sarà obbligata ad abbandonare le sue macabre vesti per confondersi tra gli umani ed indagare il motivo della sua prima défaillance. E così la morte si trasforma in donna, diviene vulnerabile. Diviene umana e sperimenta l’amore.

Questo romanzo che non è un romanzo, ma piuttosto un viaggio fantastico che tocca tematiche tremendamente reali e attuali, ha coinvolto il gruppo in una accesa discussione sul suo significato e anche su una forma di narrazione che ha messo duramente alla prova le lettrici: una scrittura incalzante, senza punteggiatura se non le virgole e i punti, una voce narrante che interagisce con il lettore dando spiegazioni sulle scelte narrative, ma nessun nome ai personaggi (perché sono semplicemente uomini e donne), nessun luogo che sia geograficamente riconoscibile (perché potrebbe essere qualunque), dialoghi e narrazione fusi in un unicum da apnea. La prima parte è parsa a tutti la più convincente nella descrizione feroce, impietosa e realistica anche se paradossale delle meschinità e miserie umane; ad esempio le pagine inquietanti in cui le genti riprendono a morire tutte contemporaneamente ci riportano ai tragici giorni della pandemia (eppure il libro è stato scritto ben prima).

La seconda parte del libro si differenzia profondamente ed è la più ambigua da interpretare per la sua carica simbolica: quando entra in scena il violoncellista restio a morire, il racconto abbandona la visuale dell’intera umanità e si cala nelle singole esistenze. La morte stessa diventa donna, vuole conoscere il violoncellista e il suo cane, si fa coinvolgere e si innamora, sceglie di rimanere umana, complice la potenza della musica, quel brevissimo studio di Chopin, opera 25, numero nove, di 58 secondi, perché “quello che impressionava la morte era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell’accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell’aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire.”

Anche perché lei è la morte, non la Morte con la maiuscola, quella terribile che davvero è la fine di tutto, lei è una piccola umile morte che fa parte della vita, del suo eterno rigenerarsi e della sua bellezza seppur breve. Ogni vita, sembra dirci Saramago, è eterna se lascia una traccia di sé, e più forti di ogni morte sono l’amore, l’arte, la musica…

Per diversi lettori, dunque, questo strano libro che per due terzi tratteggia una umanità spregevole e perduta, apre a una possibilità di speranza; dopo averci costretti a fare i conti con le grandi domande che ci affliggono e con le nostre paure e fragilità, ci invita a vivere semplicemente i nostri giorni apprezzando le tante cose buone di cui possiamo godere: messaggio apparentemente banale ma pieno di senso dopo aver attraversato le pagine durissime di Saramago. Notevolissimo lo stile di Saramago, che riesce a raggiungere profondità di pensiero e tratteggiare scenari davvero inquietanti e cupi attraverso un originale mix di ironia e sarcasmo feroce che ci porta a ridere e rabbrividire insieme. Il tema della morte è stato per alcune lettrici respingente, la nostra cultura e società contemporanea ci hanno allontanato da un rapporto “normale” con la caducità della vita, che è un tabù e viene costantemente rimossa e tenuta separata dalla vita. Questa lettura ci ha portato a scandagliare il tema della morte da più punti di vista, facendoci interrogare su tante questioni: ha senso mantenere un corpo in vita quando la malattia e l’invecchiamento hanno spento l’essenza della persona? Conoscere la data della nostra morte ci aiuterebbe a gestire meglio il nostro tempo?