Perduti tra le pagine, di Margherita Oggero

Scritto in un linguaggio semplice, come una favola contemporanea, questo piccolo libro racconta la storia di tre bambini, Leone, Orso e Giulia, che si perdono tra gli stand del Salone del Libro di Torino. La loro è una fuga, un’avventura fuori dalla gabbia in cui li tengono rinchiusi gli adulti: faranno amicizia, si racconteranno delle storie, si leggeranno dei libri. E mentre le maestre, la tata, i genitori in apprensione li cercano, loro sfuggono a tutti i richiami per scoprire quante sorprese si nascondono fra le pagine dei libri. Perché i libri, a differenza degli adulti, non hanno mai fretta, non cambiano discorso nelle situazioni delicate, giocano con la fantasia e trovano le parole per ogni emozione.

La narrazione delle avventure dei tre piccoli è interrotta dal racconto cupo delle vite dei genitori, vite complicate, costellate da scelte difficili e compromessi dolorosi: un marito infedele, una moglie picchiata, la lontananza dalla propria terra e la maternità senza amore, il lavoro o la salute… questi adulti sono talmente perduti da non cogliere il disagio negli occhi dei bambini, talmente presi da loro stessi da non leggere le richieste pressanti dei “piccoli”, bollate come capricci o lagne immotivate. La storia si svolge così su due piani paralleli e separati da un muro di reciproca non comunicazione: la poetica avventura dei bambini contrasta e fa emergere il mondo ansioso e problematico degli adulti di cui l’autrice mette a fuoco tanti punti deboli.

Alcuni lettori hanno trovato troppo superficiale il ritratto dei personaggi che sembrano incarnare un catalogo di problematiche sociali (violenza domestica, tradimenti, ipocrisie, soprusi), una serie di clichè, di categorie tratte dalle pagine di cronaca dei quotidiani. L’autrice ha forse voluto condensare in poche pagine troppi temi, senza quindi andare in profondità e il risultato è stato per alcuni una lettura insipida, banale, seppure costellata da pagine piacevoli. Ci siamo perfino domandati se il romanzo non sia una bozza di una possibile sceneggiatura per una serie televisiva.

Altri lettori hanno invece trovato efficace e riuscito il romanzo, lieve e grazioso come una libellula, scritto in tono vivace e leggero, e con un messaggio schietto e limpido, che suona come un avvertimento: se vi sentite chiamare, guardate bene. Da qualche parte un bambino vi chiede una storia.

Leggi la pagina 21 di questo libro.    

Madame Bovary, di Gustave Flaubert

Il gruppo di lettura pomeridiano, ben consapevole del valore e del rispetto dovuto ad un simile capolavoro del realismo, un grande classico, non si è tuttavia lasciato intimorire e influenzare da tanta rilevanza e, pur avendo complessivamente apprezzato il libro, ne ha criticato la pesantezza di stile, ottocentesco appunto, lento e verboso. Una lettura impegnativa che alcune hanno fatto in età adolescenziale senza comprenderla fino in fondo, mentre adesso, ad una rilettura, si sono ritrovate davanti quasi un altro libro! Pieno entusiasmo, invece, dal gruppo serale che ha gustato la perfezione stilistica delle pagine, la modernità dei contenuti, la complessità e ambiguità dei personaggi, da Emma a Charles, fino alle terribili figure quasi diaboliche del farmacista e del merciaio che contribuiranno alle rovine di Emma.

Cresciuta nell’ideale romantico di una vita traboccante di emozioni sublimi e cavalli bianchi con principi dal copricapo piumato, intrighi amorosi e cuori palpitanti, addii strazianti e ricongiungimenti passionali, Emma Bovary proietta i suoi castelli immaginari nella mediocre e provinciale realtà quotidiana, facendone un romanzo tutto suo, e riuscendo ad alimentare il suo fuoco interiore che si spegne alla stessa velocità con la quale riesce a divampare.

Costretta al logorio di un matrimonio asettico, ravvivato da goffe e tiepide carezze di un marito limitato e campagnolo che non comprende le stranezze della moglie, pur amandola moltissimo, Emma intreccia due relazioni amorose: con Rodolphe, avventuriero e libertino, per il quale lei non è che una conquista fra i suoi tanti adulteri, e con Léon, giovane, timido e inesperto, soggiogato da Emma, incapace di tener testa alle sue accorate dichiarazioni di un amore melenso e spropositato.

Emma non troverà pace ai suoi tormenti, fino a quando non le rimarrà che diventare eroina della sofferenza stessa, dandosi la morte col veleno.

Il titolo del volume porta a pensare che la protagonista sia lei, ed effettivamente si può dire che tutta la vicenda ruota intorno ad Emma, ma è stato fatto notare che sia l’incipit che il finale vedono in primo piano il modesto Charles, a circoscrivere come in una cornice l’intero racconto, ma forse la vera protagonista del libro è quella piccola meschina provincia che Flaubert dipinge con un impietoso ritratto, popolata da miseri uomini, ognuno che persegue il proprio utile individuale, e in cui non c’è salvezza, né possibilità di redenzione. Basta pensare a quella pagina mirabile in cui Rodolphe scrive la lettera d’addio a Emma, scegliendo a una a una le parole, soppesandone l’utilità per ottenere l’effetto voluto, ma senza mai un pensiero affettuoso per lei, concentrato solo e soltanto su se stesso.

Non dimentichiamo che all’epoca della sua pubblicazione, “Madame Bovary” fu un romanzo rivoluzionario, contro l’ipocrisia e la grettezza della società e la sua decadenza, tanto che Flaubert e l’editore vennero processati per oltraggio alla morale pubblica.

Oggi resta un romanzo importante, per molti aspetti attuale: il tema principale è quello dell’inconciliabilità tra realtà e fantasia, della distanza spesso incolmabile tra i sogni e la vita quotidiana.

Ma è il personaggio di Emma, pur con tutti gli aspetti che ce la rendono eccessiva e antipatica, ad essere moderno, nella sua ingenua aspirazione verso un’altra vita, diversa da quella in cui si è ritrovata inchiodata. Emma intuisce confusamente, grazie alle sue disordinate ma appassionate letture, che per una donna la vita potrebbe non esaurirsi nel matrimonio, nella procreazione e nei lavori domestici, ma non possiede gli strumenti per definire questa sua aspirazione. Emma è una contraddizione vivente, in lei coesistono i volti di mille donne: è l’eterna fanciulla che sogna di vivere le avventure e le passioni dei libri; è la moglie insoddisfatta e annoiata, insofferente verso la quotidianità della vita coniugale in cui il marito “la bacia a orari regolari”; è l’innamorata dell’idea stessa dell’amore; è la madre anaffettiva che non sopporta di vedere la figlia e la respinge; è l’amante passionale; è la consumista incontentabile che si indebita per circondarsi di bei tessuti e raffinatezze; è egoismo e ipocrisia… semplicemente, è vera, forse la prima donna vera della letteratura, la prima femminista ante litteram, che mette se stessa davanti a tutto, che non si adatta a una realtà meschina.

Emma ha dato il nome a quella patologia denominata “bovarismo”, vale a dire l’incapacità di distinguere tra realtà e sogni, causata anche, secondo i suoi accusatori, dalle letture pericolose che in un animo debole come quello femminile causano danni irreparabili. Daniel Pennac, invece, difende e ama il personaggio di Emma e nel libro “Come un romanzo” interpreta il bovarismo in tutt’altra accezione: il diritto al bovarismo, tra i dieci diritti del suo celebre decalogo del lettore, è “il diritto a emozionarsi, a lasciarsi prendere dalla storia. Il diritto a piangere, se è il caso. I libri possono salvarci la vita e nella vita abbiamo tutti bisogno di momenti di evasione e di puro godimento”.

L’amarezza, la disillusione e il pessimismo sulla natura umana percorrono tutto il romanzo e Flaubert ritrae ogni personaggio con sottile ferocia, mettendo in luce con abili dettagli le piccolezze di ognuno. Non ci sono eroi. Anche il goffo Charles, che potrebbe nel suo amore fedele e incrollabile avere un suo “eroismo” e una sua grandezza morale, in realtà non si salva e la sua fine disperata con la ciocca di capelli in mano di Emma rappresenta la sua definitiva ottusità.

Di questo romanzo ha colpito la perfezione stilistica, ottenuta da un lavoro titanico dell’autore: attento al suono e alla musicalità delle parole e al realismo di ogni minimo dettaglio, su cui si documentava in modo maniacale, Flaubert impiegò cinque anni e innumerevoli revisioni per arrivare a questo risultato. Le descrizioni degli ambienti, dei dettagli, delle azioni e situazioni sono maestose e alcune immagini sono rimaste impresse nei lettori: la stesura della lettera d’addio di Rodolphe tra lacrime finte e parole cinicamente scelte, la terribile e quasi sadica scena dell’amputazione della gamba, l’agonia di Emma per avvelenamento, i maneggi del farmacista rampante e arrivista, il diabolico merciaio che si insinua nella vita di Emma, le scena di seduzione.

Leggi la pagina 21 di questo libro.