La porta di Magda Szabó

Oggi, mentre scrivo a macchina queste righe, sento che in quel momento, decisi il suo destino perché dentro di me l’abbandonai. Smisi di tenerle la mano”.

La porta è il titolo di questo splendido libro, ed è proprio sull’impossibilità di aprirla e varcarla che si apre e si chiude il romanzo. Scritto dall’ungherese Magda Szabó, è la storia del rapporto tra due donne che sono una l’opposto dell’altra: una scrittrice e la sua domestica, Emerenc. Tutta la vicenda ruota intorno al loro rapporto sofferto, conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni.

Il gruppo di lettura ha dato del libro diverse definizioni: romanzo realista e fortemente simbolico allo stesso tempo, ma anche una sorta di diario che nel finale si avvicina alla tragedia greca, angosciante e trascinante per chi l’ha letto la prima volta, affascinante per chi ha voluto rileggerlo. La scrittrice ungherese (che a parere dei lettori coincide con la narratrice Magda) confessa infatti con toni di profonda intensità il proprio senso di colpa per aver causato, in qualche modo, la morte di Emerenc.

Il rapporto tra le due donne è una storia di tentativi di faticosa accettazione che dopo vent’anni pare raggiunta, in un crescendo di rivelazioni che dimostrano come le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell’anziana donna, affondino in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento. Gli anni passano e piano piano le due donne sembrano avvicinarsi, spinte entrambe dalla stessa solitudine e dal bisogno di amicizia. Il loro discorrere, seppure con alti e bassi, si fa più intimo, la stessa confidenza muta. La scrittrice diventa così tutrice del passato dell’anziana ma anche del suo più grande segreto e arriverà a scegliere di varcare la sua porta, quella linea di demarcazione tra il dentro e il fuori.

Per Emerenc rifugiarsi dietro la porta, inespugnabile e sbarrata, non è un gesto fatto a cuor leggero, è un gesto che corrisponde alla sua irreprensibile moralità e completa fedeltà, espressione della sincera umanità che le appartiene. Poiché, al di là di quel carattere scontroso e burbero, è uno spirito autentico, integro, onesto. La casa, inaccessibile anche ai parenti, è il fulcro della sua intimità, aprirla significherebbe accettare di darsi completamente agli altri, ma Emerenc sa che non sempre è utile farlo, a volte risulta dannoso per se stessi e per esperienza decide di gestire le relazioni alla sua maniera, del tutto anticonvenzionale. Così la porta diventa simbolo di un’esistenza tribolata, se non di un cuore indurito dalle terribili prove degli anni.

Troppo tardi Magda scoprirà che Emerenc vedeva in lei la figlia che non aveva avuto, la famiglia che l’aveva tradita e questo rimpianto le rimarrà addosso fino alla fine.

La discussione più accesa ha riguardato proprio il personaggio di Emerenc e lo strano rapporto che la legava a Magda: amicizia? Amore materno? Semplicemente affetto? Forse il sentimento di Emerenc era l’insieme di tutto questo. Abbiamo con piacere riletto e commentato alcuni passaggi relativi a Emerenc, personaggio indimenticabile: i suoi giudizi lapidari, le sue convinzioni che la portano a dividere il mondo in due semplici categorie di persone: chi ha una scopa in mano e chi no, ovvero chi obbedisce e chi comanda. Statisti e intellettuali, uomini di chiesa ed educatori del popolo – tutti della seconda categoria – non hanno alcuna presa su di lei che ha attraversato talmente tanti decenni di storia del proprio Paese da aver visto abbastanza ed esserne rimasta schifata fino all’indifferenza.

A lei e a tutti quelli come lei che hanno avuto una vita sofferta, bisognerebbe accostarsi in punta di piedi, avere la capacità di aspettare e dimostrare un profondo rispetto. Allora, ma solo allora, Emerenc offrirà, a modo suo, la sua speciale forma di amicizia.

Nella personalità complessa di Emerenc trova piena legittimità anche il suo cinico ateismo, per nulla in contraddizione con la spontanea religiosità che in lei è identica all’attitudine cristiana di soccorrere il prossimo in difficoltà, al di là di ogni professione di fede religiosa o politica.

Se si interpreta Emerenc con la sola chiave del realismo si rimane sconcertati, perché questa donna è una figura epica, mitologica, così come la porta che nessuno può varcare è sì reale, ma anche simbolica: simbolo di una necessità di difesa, di un limite, di uno scudo. Ma forse anche richiesta implicita che qualcuno bussi con insistenza…

Alcune lettrici hanno osservato come Emerenc riesca facilmente a comunicare e intendersi più con gli animali che con le persone: i suoi gatti, il cane Viola… a riprova della fiducia incondizionata che solo nelle bestie e non negli umani è possibile trovare. Oltre alla porta materiale, infatti, il carattere stesso di Emerenc è una porta: dura, spigolosa, diretta, sfacciata, invadente, terribile nel suo essere implacabilmente sincera con le persone che ama. Emerenc dà con generosità ma non accetta nulla. Forse è questa la sua porta più massiccia: l’incapacità di prendere dalle mani altrui. Accettare un dono potrebbe incrinare il suo rifiuto, parziale e unidirezionale, ma categorico, di un mondo, di una vita, di gente che l’ha sempre delusa. Per questo alla fine sceglie di non essere salvata, perché lei non vuole una “vita qualunque”, rivorrebbe la sua vita, ma ormai è impossibile. E il suo dramma sta nella consapevolezza che tutto il senso dell’intera sua esistenza è stato annientato da quel singolo episodio vergognoso per cui sarà ricordata.

“Emerenc era disposta al sacrificio, a lei riusciva spontaneo tutto ciò che io dovevo impormi con un certo sforzo, e non importava che agisse inconsapevolmente, la bontà di Emerenc era naturale, io, invece, mi ero educata ad esserlo, mi ero obbligata col passare del tempo a rispettare alcune norme etiche. (..) La mia morale non era altro che disciplina.”

Questo scrive Magda, a conclusione della storia, dopo aver visto disgregarsi sotto i suoi occhi i mobili divorati dai tarli che Emerenc le aveva lasciato in eredità: nessun rimedio è possibile ormai alla distruzione di un legame, sopravvive alla frantumazione il senso di colpa dal quale può nascere solo la scrittura.

La storia di Emerenc narrata in questo libro, fatto di quelle parole che sono tutto ciò che Magda può offrire all’amica, assume così la valenza di un parziale, consolatorio risarcimento che tuttavia non basterà a fugare l’incubo della porta chiusa.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

La più amata di Teresa Ciabatti

Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace. Voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto, deve esserci un’origine, ricordo, collego. Deve essere successo qualcosa. Qualcuno mi ha fatto del male. Ricordo, collego, invento.
Cosa ha generato questa donna incompiuta? 

Un romanzo spiazzante che ha lasciato sensazioni contrastanti nei lettori, coinvolti e curiosi di scoprire i misteri della famiglia Ciabatti ma allo stesso tempo infastiditi dalla voce dell’autrice, ripetitiva e lamentosa che racconta in modo lacunoso e frammentato vicende sconnesse. E man mano che si avanza nella lettura la narratrice appare sempre meno affidabile, confusa, manipolatrice e contradditoria. Gli interrogativi lasciati irrisolti sono molti: chi era Lorenzo Ciabatti, un oscuro e spregiudicato massone o un generoso chirurgo filantropo? Che infanzia ha avuto Teresa? Un’infanzia dorata che l’ha resa viziata ed egocentrica o un’infanzia senza affetto e cura, tra adulti indifferenti e ambigui. Ma soprattutto, ciò che viene raccontato è accaduto veramente all’autrice? Siamo davanti a un’autobiografia? O si tratta a tutti gli effetti di un “romanzo” come d’altronde è dichiarato anche nel sottotitolo del libro?

L’idea che ci siamo fatti è che l’autrice abbia rielaborato alcune memorie personali per condurre un’autoanalisi e cercare risposte a conflitti interiori irrisolti, quasi come in un percorso terapeutico.

Lo stile è semplice, asciutto, caratterizzato da frasi brevi e ripetute, quasi infantili che contribuiscono a costruire il personaggio di Teresa, donna adolescente, narcisista, verbosa, auto commiserante e ossessiva. La narrazione è distaccata, come se si parlasse di un altro da sé. Non ci sono sentimenti ed emozioni, anche le situazioni più estreme sono narrate in modo asettico ed eventi importanti (come la morte dei genitori) vengono omessi o solo accennati, come se l’autrice non potesse ancora affrontare certi strappi dolorosi. Lo stile è frammentato, si avanza per flash e salti temporali, con il ritmo serrato di una sceneggiatura da serie tv.

Il romanzo ha tenuto tutti i lettori catturati, forse proprio per la curiosità sui fatti misteriosi e un po’ morbosi che segnano o sfiorano la vita della famiglia Ciabatti (massoneria, rapporti con l’estrema destra, coinvolgimento nel golpe Borghese, P2, rapporti con la mafia, sequestro, fiumi di denaro dalla dubbia provenienza). Si arriva alla fine però senza svelamenti, i misteri rimangono irrisolti, forse perché è l’autrice stessa a non aver risolto i suoi turbamenti.

Tutto si gioca sul dubbio e l’ambiguità: quelle di Teresa sono fantasie paranoidi o semplici constatazioni di una realtà vissuta e traumatica, mai rivelata? Sicuramente i dettagli disseminati nel racconto sono tutti plausibili e verosimili, tanto da destare in alcuni lettori il sospetto che dietro ci sia un’abile strategia editoriale che va a solleticare il voyeurismo del lettore.

Alcuni lettori hanno apprezzato pienamente il libro, chi per l’ambientazione storica e geografica (Maremma degli anni ’70, ’80 e ’90), chi per la leggerezza e fluidità di un racconto trascinante. È stata anche riconosciuta all’autrice la capacità di esprimere il dramma e il bisogno di capire il proprio passato. In particolare sono state rilette e condivise le ultime righe del libro, in cui l’autrice descrive senza filtri il suo disagio esistenziale, il suo sentirsi perennemente inadeguata, la sua ossessiva ricerca dell’origine di questo male  e l’amara realizzazione che non c’è nessuna violenza o trauma subito, nessun colpevole da incolpare.

Più ancora di Teresa, il personaggio che ha colpito e incuriosito è quello del Professore, il chirurgo e primario Lorenzo Ciabatti. Di lui è difficile delineare un ritratto preciso, abbiamo solo flash molto contrastanti tra loro: una corte di assistenti servili a suo servizio, una crudeltà psicologica verso la moglie e un rapporto distaccato e mai affettuoso con i figli, un potere invisibile e illimitato, l’anello da massone, la tendenza a mistificare sempre la realtà. Né la figlia, né la moglie, nonostante l’investigatore privato Tom Ponzi, riusciranno a scoprire i suoi segreti. E anche noi lettori rimaniamo turbati da questa figura, di cui è molto difficile, anche a distanza di anni, trovare informazioni o immagini. Ambigue e misteriose anche le figure della madre, che lentamente si spegne accanto al marito – ma si riscatterà – e il fratello che non vuole vedere la realtà e lascia sola Teresa, proprio lei “la più amata” ad affrontare il passato.

Leggi la pagina 21 di questo libro.