Un cuore così bianco di Javier Marías

Si potrebbe dire che la reazione di varie lettrici al termine del libro è stata lo sconcerto, il che non implica necessariamente una stroncatura o un giudizio seccamente negativo, ma piuttosto il bisogno di ripensare alla storia e poi di confrontarsi con gli altri del gruppo, perché davvero ognuno nei libri cerca cose diverse, e lo scambio di idee apre sempre nuove prospettive e offre risposte a cui non si era pensato.

Varie lettrici non hanno amato lo stile troppo complesso, ripetitivo, eccessivamente costruito e a volte cervellotico, e neppure la vicenda in sé che è piuttosto fragile (e si arricchisce diventando coinvolgente parecchie pagine dopo quell’incipit folgorante che dopo poco si spegne perdendosi in lunghe pagine faticose) ma hanno sicuramente amato la capacità dell’autore di parlare dell’animo umano e di ciò che lo turba. Quello che disturba, al termine del libro, non è solo la sua pesantezza, la struttura a scatole cinesi, l’andamento altalenante dell’intreccio che non cattura se non oltre metà vicenda, ma l’ansia e i dubbi che ha insinuato in noi, portandoci ad ammettere che quei problemi ci riguardano, eccome… perché chi di noi non ha un segreto? Chi è totalmente sicuro della persona che ha al suo fianco? Chi non si è mai chiesto se è meglio dire sempre la verità, anche scomoda, o meglio tacerla per non sconvolgersi la vita?

Il cuore così bianco del titolo (dal Macbeth di Shakespeare) è la metafora che permea tutto il romanzo: una colpa non confessata, un segreto, può rimanere per anni sepolta nel cuore e non venire svelata oppure può venire svelata provocando sconvolgimenti nella vita delle persone. Il romanzo si svolge tra questi due poli, le situazioni si ripetono nel tempo e nello spazio a diversi livelli ma sempre si tratta dello svelamento o del nascondimento di una colpa o di un segreto, con un montaggio che per una lettrice è quasi cinematografico.

Voce narrante e protagonista è Juan, un interprete e traduttore simultaneo nei forum internazionali, sempre in giro per il mondo, da un anno sposato con Luisa, interprete come lui. L’unione con Luisa gli crea da subito un malessere interiore, il cambiamento di stato civile gli procura smarrimento, confusione e un bisogno insopprimibile di far affiorare i suoi ricordi: Juan inizia allora un’indagine psicologica su se stesso, riflettendo sulle responsabilità, la condivisione nell’omissione della verità, il senso di colpa. Ecco perché le pagine più fitte, impegnative, introspettive e inquietanti, sono anche spesso le più riuscite, quelle che dimostrano ancora una volta come la letteratura sia una preziosa bussola nelle nostre esistenze.

Esiste una zona d’ombra in cui solo la letteratura e le arti possono penetrare per percepirne l’immensità e la complessità. Ci sono cose che conosciamo solo perché ce le ha mostrate la letteratura, o ci ha consentito di prenderne coscienza e di riconoscerle. La letteratura ci permette di comprendere un po’ meglio noi stessi e il mondo“. (Marias)

E se la realtà si presenta sotto aspetti ambigui e angoscianti, diventa tanto più misteriosa se non è esplicitata dalla parola, l’unica in grado di dare consistenza a ciò che altrimenti è destinato a rimanere nascosto nella sfera intima dell’individuo. Intorno a questo principio si costruisce il mistero che è alla base del romanzo e che diviene il filo conduttore della vicenda, guidando il lettore fino alla rivelazione finale. Un gioco di suspense che spesso sconfina nell’argomentazione filosofica, per alcune lettrici davvero eccessiva.

È un compito arduo quello che Marias affida alla letteratura e all’arte: il compito di fare chiarezza e di portare alla luce anche gli aspetti più deplorevoli dell’animo umano. In questa stessa prospettiva viene presentato l’amore, che da passione può trasformarsi in persecuzione, da fiduciosa confidenza in spietata diffidenza, fino a generare morte e dolore. Alcune lettrici hanno evidenziato come questo compito sia in particolare affidato ai personaggi femminili del libro, tutti più sicuri, decisi, coraggiosi nell’affrontare le situazioni, mentre il protagonista incarna l’intero genere maschile con la sua vergogna, i dubbi, i sospetti, le meschinità. L’epilogo è discutibile: apparentemente è un finale tranquillo, come se si fosse ristabilito un equilibrio, dopo tanto scandagliare negli abissi della mente, e a questo fragile equilibrio bisogna sapersi “aggrappare” per sopravvivere.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

Stoner di John Williams

E poi siamo arrivati a “Stoner”, un libro che può suscitare entusiasmi e innamoramenti, definito il “romanzo perfetto” da alcuni critici e scrittori.

“Stoner” è il racconto della vita di un uomo tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento: William Stoner, figlio di contadini, si affranca dal destino di massacrante lavoro nei campi che lo attende, coltiva la passione per gli studi letterari e diventa docente universitario. Si sposa, ha una figlia, affronta varie vicissitudini professionali e sentimentali, si ammala, muore. È un eroe della normalità che negli ingranaggi di una vita minima riesce ad attingere il senso del lavoro, dell’amore, della passione che dà forma a un’esistenza.

Alcuni tra i nostri lettori sono rimasti completamente conquistati dal romanzo, catturati fin dall’inizio da questo ritratto, che non ha nulla di favoloso, di straordinario eppure riesce a raccontare una quasi felicità dentro una vita come tante. Molti lettori sono stati toccati dalla personale ricerca di Stoner, che in una vita piena di difficoltà riesce a trovare un senso nell’amore per la letteratura, per i libri e per l’insegnamento.

Altri invece, pur apprezzando lo stile delicato e coinvolgente e la capacità descrittiva di Williams, hanno espresso alcune perplessità sul personaggio di Stoner, un uomo forse mediocre, passivo, che vive il suo tempo ai margini, non si fa coinvolgere né dai grandi eventi della Storia, né dalle occasioni di felicità che potrebbe cogliere con maggior coraggio. Su William Stoner si è quindi aperta un’animata discussione: alcuni hanno provato comprensione, stima, quasi affetto per un uomo coerente, che ha una sua dignità, che compie delle scelte forse non sempre condivisibili ma comunque rispettose della propria natura, un uomo che dimostra un’estrema dignità e resistenza in situazioni quasi insostenibili; un uomo che, nonostante le apparenze dimesse, prova e vive grandi passioni, che ha un’altissima idea della professione di insegnante, che ha vissuto su di sé e vuole trasmettere il potere salvifico della letteratura e della cultura. Altri lettori invece non hanno amato la sua rassegnazione nei confronti del rapporto perduto con la figlia, il suo scarso impegno nella società (è toccato ad esempio dalla seconda guerra mondiale solo per la perdita di un caro amico). E ancor più difficile da comprendere è stata la scelta di rinunciare a Katherine e a un amore “illegittimo” ma così giusto, rinuncia che è stata interpretata da alcuni come atto di codardia.

Per una lettrice, invece, Stoner vive pienamente questo amore e grazie a questo incontro perfetto con Katherine, evolve, si sblocca ed esprime se stesso come non aveva mai fatto; proprio perché condividono le stesse passioni e la stessa visione della vita, arriveranno insieme a condividere la scelta di lasciarsi, per poter continuare a insegnare. È una rinuncia in nome della loro più grande passione, che non sminuisce il loro amore.

Stoner può quindi apparire come una pietra che rimane immobile (da “stone”) ma dentro di sé non è così, la sua anima è in evoluzione. Si scopre poco a poco, bisogna avere voglia di andare oltre alle apparenze; non sono casuali né il nome del protagonista né l’immagine di copertina usata dall’editore, un volto di uomo a metà di cui vediamo solo gli occhi.

In questo libro c’è molto dolore: una sorta di sofferenza esistenziale sembra accompagnare Stoner, a partire dalle sue origini famigliari fino agli scontri psicologici con la moglie e con l’ambiente di lavoro; ci sono pagine di terribile violenza e cattiveria, vere e proprie guerre persecutorie che Stoner deve fronteggiare. La vita di Stoner alterna così momenti di buio ad attimi di luce accecante, cadenzati da tempo vissuto nel torpore, in quel senso di ineluttabile che sfocia nella rassegnazione quando non sai come affrontarlo.

Tra i pregi del romanzo è stata sottolineata la capacità dell’autore di farci conoscere il personaggio da vicino, svelandone le debolezze con una sorta di comprensione e indulgenza, senza mai giudicare. Si crea così un legame tra lettore e personaggio, e la sua trasformazione, i suoi pensieri, le sue remore, le sue mancate prese di posizione rendono Stoner così reale che durante la lettura si è portati a consigliarlo, a incoraggiarlo.

Si potrebbe dire che alcuni sentimenti non sono analizzati fino in fondo e molte domande rimangono senza risposta (perché Edith si comporta così con il marito? Da cosa deriva l’odio di Lomax? Perché la figlia Grace non ha nemmeno voglia di reagire alle imposizioni della madre?), ma a volte il non detto è più potente e più significativo di ciò che viene svelato.

Le pagine finali sulla morte trasmettono un senso di pace e compiutezza: Stoner si spegne dolcemente, sfiorando il libro accanto a sé. Questo finale commovente e toccante suggella un addio a un personaggio che a tratti ci ha fatto indispettire ma a cui inevitabilmente abbiamo voluto bene.

“Una morbidezza lo avvolse e un languore gli attraversò le membra. La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato“.

Leggi la pagina 21 di questo libro.