Giovedì 4 novembre 2021
Il diario di Jane Somers di Doris Lessing
La lettura di questo libro ha suscitato una vivace discussione, a partire dall’esplicita dichiarazione di una lettrice che non si è proprio sentita di partecipare al gruppo, avendo trovato il libro fortemente disturbante e non volendo soffrire ulteriormente nell’analizzarlo. Effettivamente quasi tutti lo hanno definito una lettura impegnativa e molto coinvolgente a livello emotivo, pur apprezzandone le tante qualità; alcuni lettori hanno invece espresso la propria delusione, sostenendo che non si stratta di un libro capace di attrarre il lettore “chiamandolo dal comodino”, oppure dichiarando di averlo trovato persino noioso e ripetitivo, e di non essere stati per nulla catturati né convinti dall’intreccio e dai personaggi.
Il percorso della Lessing in questo libro parte da uno scavo all’interno della vita di due donne: Jane Somers e Maudie Fowler. La Lessing le spoglia di ogni difesa e pudore, portandole verso una presa di coscienza del valore di quei “legami forti” basati sullo scambio relazionale in sé e fondati su quel nutrimento profondo che è il bisogno di esistere per qualcuno. E tutto a partire da una contrapposizione fra le due donne che all’inizio appare insuperabile, data la abissale diversità che le separa. Jane, l’autrice del diario, è una donna alle soglie dei cinquant’anni, bella, elegante, di successo. È rimasta da poco vedova. Il marito è morto di cancro e, così come era avvenuto anni addietro per la morte della madre, Jane si rende conto di non avere veramente sofferto, e nemmeno di sentire il peso della solitudine. Perché Jane è una donna abituata a stare interiormente sola, a non dipendere dagli altri ma anche a non avere nessuno che dipenda da lei, chiusa in un rispecchiamento narcisistico che la rende emotivamente autosufficiente, protetta dalle esperienze dolorose perché incapace di confrontarsi con il dolore. Così era stato verso la malattia e la morte e così ora verso la vecchiaia. Perciò Jane mai si era accorta di tutte quelle donne anziane che abitano nel suo quartiere. Senonché un giorno avviene casualmente l’incontro con la novantenne Maudie Fowler, che vive sola, in un appartamento sporco e maltenuto e in un tremendo stato di incuria. Incredibilmente, e lentamente, tra le due donne si stabilisce un’intimità che risucchia progressivamente Jane nell’esistenza di Maudie. La presenza di Jane dà quindi alla vecchina la possibilità di riscoprire il piacere di voler bene a qualcuno da cui ci si sente voluti bene. E anche Jane vivrà l’esperienza dell’importanza dell’altro, ma soprattutto scoprirà dentro se stessa la sua vera identità, allontanandosi da quella vita in carriera che era sempre stata la sua priorità… Forse la sua vera strada sarà proprio la scrittura, dal Diario ad altri romanzi che decide di scrivere durante la relazione con Maudie, ispirata proprio dalle storie amare di vita di Maudie. Entrambe le protagoniste dunque, nel tempo, nel dialogo, nell’incontro al di là delle conflittualità iniziali, si ritroveranno profondamente cambiate.
D’altronde molte lettrici hanno ritrovato alcuni aspetti comuni fra le due donne fin dall’inizio: sono due donne indipendenti, orgogliose, dignitose, innamorate del proprio lavoro…anche Maudie sa apprezzare la bellezza di un abito o di un cappellino, e riconosce l’eleganza di un accessorio. Il loro incontro, apparentemente assurdo, diventa l’occasione per entrambe di sbloccarsi, di lasciar emergere il loro vero io.
Ed è, in conclusione, a questa molteplicità di tematiche che la Lessing ci richiama: la difficoltà di confrontarsi con la vecchiaia, la malattia, la morte, ma anche la nostra identità autentica e il nostro posto nel mondo. Che alcune descrizioni possano essere fastidiose rispecchia la realtà della vecchiaia, o almeno della vecchiaia di alcuni: l’essere egoisti, il pretendere attenzioni, gli acciacchi, il lasciarsi andare. Questo restituisce l’umanità dei protagonisti senza sconti, ma in tutta la loro complessità e anche, talvolta, sgradevolezza.
Una lettrice ha osservato che la vera grande differenza tra Jane e Maudie sta nelle condizioni economiche, ricchezza dell’una e povertà dell’altra; se Maudie non fosse nata in condizioni così misere, la sua vita sarebbe stata forse simile a quella di Jane. E nel finale, sorprendente, scopriamo una Jane che si comporta nei confronti della giovane nipote esattamente come faceva Maudie nei suoi confronti.
Portabandiera della scrittura femminista, la Lessing fa risaltare le due protagoniste mettendole implicitamente a confronto con altre donne della vicenda, rinunciatarie come Joyce oppure convenzionali come la sorella di Jane. Non nasconde poi (come in altri suoi libri) nemmeno quella vena polemica nei confronti di una borghesia egocentrica, che ha certamente risvolti autobiografici, e neanche una critica molto puntuale del sistema inglese di pubblica assistenza agli anziani, in particolare se ospedalizzati; basta pensare alle pagine feroci dedicate al grande Dottore che tratta i pazienti come oggetti da analizzare: a volte il libro ci appare come una sorta di trattato sociologico. Per diverse lettrici (tra l’altro per alcune si è trattato di una rilettura a distanza di molti anni…che ha sollecitato parecchie riflessioni) il messaggio che ci lascia la Lessing al termine è comunque arricchente, positivo, basato sulla fiducia nella reciprocità, nell’aiuto vicendevole, nella solidarietà, nelle relazioni umane, anche le più imprevedibili.
Leggi la pagina 21 di questo libro.
Ciò che colpisce in questo coinvolgente romanzo neogotico è l’abilità dell’autore, Patrick McGrath, nel muoversi nella psiche dei vari personaggi tramite la voce narrante, all’interno di una vicenda cupa e angosciante. Il lettore è così condotto in questa forma perversa d’indagine, pieno di interrogativi sull’attendibilità e lucidità del nostro narratore, che dietro il freddo e distaccato racconto dei fatti sembra egli stesso nascondere pulsioni incontrollate e macabre ambiguità.
Il gruppo di lettori è rimasto affascinato non tanto dalla trama, considerata a tratti quasi prevedibile, ma dalla capacità stilistica dell’autore, che ha costruito un’atmosfera avvolgente, affascinante e inquietante, rielaborando le sue stesse esperienze: il padre lavorava infatti come psichiatra nel manicomio criminale del Berkshire, dove il giovane Patrick trascorse gran parte della propria infanzia. L’autore utilizza con estrema maestria ogni parola come se fosse una calamita messa per attrarre il lettore impedendogli di staccarsi dalle pagine anche solo per respirare, fino alla fine per sapere il perché della tragedia anticipata già nelle prime righe.
La morbosa ossessione sessuale tra Stella ed Edgar al centro del romanzo, ci porta irrimediabilmente all’epilogo, a chiederci se questa “follia” rappresenti solo l’amore perverso dei suoi protagonisti o se anche il narratore, lo psichiatra Peter Cleave, sia pervaso dalla stessa “follia” che tanto adora condannare. Peter è stato un “oggetto” di forte discussione tra i lettori: un personaggio considerato apparentemente disponibile ad aiutare chiunque, premuroso nei confronti di Stella, osserva attentamente il susseguirsi degli eventi affascinato dall’aspetto clinico della vicenda che lui stesso definisce “il caso clinico più perturbante che abbia incontrato nella sua carriera”; eppure tra i suoi pensieri emerge un animo algido, una visione distaccata da ogni emozione, indifferente nell’aiutare psicologicamente chi realmente necessita di essere ascoltato, che lo rendono fintamente professionale. Dopo aver letto le ultime righe si rimane attoniti per il colpo di scena che subisce la narrazione, chiedendoci chi fosse realmente il “folle” della storia.
Edgar Stark è l’uomo su cui si costruisce la vita di Stella, a lui si aggrappa con le unghie e con i denti, senza vedere Edgar come un pericolo, come un uomo dal passato violento che uccise la moglie Ruth, facendola letteralmente a pezzi e lavorandone la testa come se fosse una scultura. Per lei, Edgar rappresenta in primis, un artista eversivo, simbolo di passioni e sensazioni che le sono mancate nel corso della vita dal marito Max, vicedirettore del manicomio, completamente dedito alla carriera. Non è soltanto attratta fisicamente da lui ma è anche attratta dalla possibilità di una nuova vita che Edgar rappresenta.
Nei comportamenti irrazionali e impulsivi di Stella, nel suo bisogno di lasciarsi coscientemente alle spalle quella monotonia di vita borghese e infelice, di abbandonare improvvisamente la casa, il marito e il figlio, che, ora ai suoi occhi, appare scomodo, quasi odiato perché le ricorda troppo vividamente quella vita infelice con suo marito, il gruppo ha sottolineato questa sua scelta non comune di staccarsi dal binario di una vita prefissata. Stella appare vittima di una dipendenza non curata e distruttiva, non ha nessuna opportunità di realizzazione e di felicità, ingabbiata in un rigido ruolo di madre e moglie in un contesto privo di amore.
Profonda è stata inoltre, la discussione sul figlio Charlie: è colui che inevitabilmente diventa l’ostacolo del desiderio di Stella di abbandonare la sua vita infelice per fuggire con Edgar nei sobborghi londinesi, seppur in modo temporaneo. Quando più avanti, nel corso della vicenda, Stella tornerà a casa e la vita dominata da continui litigi e bevute senza fine con Max sarà letteralmente un inferno, Charlie sarà l’unico a mantenere unita la famiglia. Di fatto, permette per qualche tempo a Stella di alternarsi tra la voglia di riprendersi e quella di lasciarsi andare, fino al drammatico finale. Non mancano i passaggi struggenti come ogni volta che il bambino scopre i genitori intenti a litigare, o quando chiede alla madre se possono essere semplici amici. Charlie con la sua inconsapevolezza, diventa simbolo d’innocenza, vittima della follia e delle ripicche degli adulti. La sua drammatica morte ha suscitato particolare sconforto tra i lettori, sconvolti dalla scena disturbante dell’annegamento nello stagno sotto lo sguardo vuoto di Stella ormai completamente alienata. Stella dichiarerà di aver intravisto, come in un’allucinazione, Edgar nello stagno chiedere disperatamente aiuto. L’ipotetica visione dell’amante mentre annega ha assunto vari significati, come il desiderio di punirlo per non averla salvata dall’ambiente famigliare che continuava ad opprimerla. Questa ipotesi spiegherebbe il motivo per cui Stella resta immobile fino alle ultime grida di allarme dell’insegnante Griffin, fino alla presa di coscienza del tragico momento, o in alternativa, ormai rassegnata di fronte all’arresto di Edgar, Stella desidera annegare il ricordo di lui, sperando di porre fine al loro amore perverso.
Le ultime pagine del romanzo ci presentano la progressiva deriva della protagonista, frutto del totale isolamento nel quale si è rinchiusa. Pur confidandosi con Peter, nei momenti più critici Stella è sola, non riesce a stabilire alcuna relazione significativa, né le viene data l’occasione. Arriverà quindi a ideare e realizzare un’uscita di scena teatrale, ingannando tutti e ponendo fine alla propria vita.
Sulla base di quanto detto, è difficile giudicare i singoli personaggi per quello che hanno fatto. È come se le loro azioni siano impossibili da giudicare, un po’ come in balia degli eventi, ognuno aveva necessità di essere ascoltato e aiutato. Nonostante ciò, tutti i protagonisti pagano, alla fine, le conseguenze delle loro mancanze, delle loro perversioni, delle loro ossessioni. Colpisce la fragilità di queste esistenze, la facilità con cui viene superato il labile confine tra normalità e follia, la graduale perdita del senso di realtà, segno della vulnerabilità di tutti gli esseri umani le cui vite possono deragliare in un istante.
Affascinanti e suggestive sono state, in conclusione, le descrizioni degli ambienti, a tratti gotiche, dal tetro manicomio ai tenebrosi e sudici sobborghi di Londra, fino alla grigia campagna gallese, dove sembra non esistere alcun barlume di speranza.
Leggi la pagina 21 di questo libro.