La bastarda di Istanbul di Elif Shafak

La bastarda d’Istanbul è il libro che ha consacrato sulla scena internazionale Elif Shafak, prolifica autrice che divide la sua opera fra turco e inglese. Questo romanzo, originariamente scritto in inglese, racconta la storia di due famiglie, lontane migliaia di chilometri ma legate con un filo invisibile.

Le protagoniste sono Asya Kazancı, 19 anni, di Istanbul, costretta a portare il pesante fardello di essere una “bastarda” in una società tradizionalista e patriarcale e la fatica di vivere in una famiglia totalmente dominata dalle donne; e Armanoush Tchakhmakhchyan, 19 anni, di Tucson, Arizona, i cui problemi hanno a che fare col crescere all’interno di una famiglia armena che vive nel perenne ricordo della grande tragedia, il genocidio del 1915 e la fuga dalla patria. Asya spende i pomeriggi nei fumosi caffè della città, persa in un vago esistenzialismo; Armanoush, annoiata e confusa, prende un aereo e vola ad Istanbul per mettere i piedi in quel passato familiare che tanto ossessiona il suo presente. Sembrano due destini diversi e irrilevanti l’uno per l’altro, quelli di Asya e di Armanoush, ma c’è un segreto che lega il passato delle loro famiglie, qualcosa che risale a un secolo prima.

Sebbene il romanzo contenga alcuni riferimenti interessanti sulla situazione delle donne in Turchia e un breve racconto di quello che è stato il genocidio armeno, gli intrecci inverosimili e poco approfonditi e le minuziose descrizioni, che danno l’idea di voler compensare alcuni buchi di trama, rischiano di appesantire il racconto e di far perdere al lettore alcuni passaggi chiave della storia. La maggioranza delle lettrici avrebbe desiderato poi uno sviluppo del rapporto di amicizia tra le due ragazze e un maggiore approfondimento di alcuni personaggi che rimangono molto stereotipati, come Rose, madre americana di Armanoush.

Sono state invece apprezzate le parti ambientate all’interno del bar Kundera, frequentato da Asya, e quelle della chat online, di cui fa parte Amy: da questi incontri emerge chiaro il tema centrale del romanzo ossia lo scontro presente fra le memorie discordanti di turchi e armeni. Se i turchi nel ‘900 hanno costruito un pensiero completamente volto al futuro, gli armeni della diaspora vivono nell’incapacità di staccarsi dal passato, da quella tragedia che così grande impatto ha avuto nelle loro vite, nei loro immaginari, e che i turchi si ostinano a negare. Se per i turchi tutto quello che è avvenuto prima del 1923, anno di fondazione della Repubblica di Turchia, si può tranquillamente tralasciare, per gli armeni tutto ciò che è avvenuto dopo il 1915 è impossibile da accettare. Più che uno scontro di memorie, quello che ci propone Shafak è uno scontro di modi diversi di fare i conti col tempo e con la storia. Modi diversi di ricordare. Compromessi diversi fra memoria e oblio, che di fatto annodano insieme le due comunità.

Per il resto, appoggiato su un’esile trama, La bastarda di Istanbul si perde in minutissime descrizioni, in una verbosità spesso arguta, a volte spiritosa, ma spesso eccessiva o ridondante e a improvvise svolte drammatiche e pagine a tinte fosche, come il finale, ritenuto forzato e macabro, non in linea con il resto della storia.

Si mescolano elementi magici (le violenze del genocidio sono narrate dalla visione di un jinn, un demone al servizio di una chiromante), tocchi esotici, una abbondante attenzione al dato culinario o a quello riguardante l’abbigliamento; ma i personaggi faticano a farsi veri, indipendenti dalla funzione che l’autrice assegna loro.

Per questo romanzo, nel 2006 la scrittrice subì un processo, dal quale venne infine prosciolta, per aver offeso l’identità nazionale turca per bocca di alcuni personaggi. Erano anni in cui la questione armena riemergeva in Turchia dopo lunghi decenni di silenzio. Il romanzo di Shafak, insieme agli scritti di altri autori contribuì significativamente a riaccendere il dibattito in quel paese che per certi aspetti sembra ancora non aver risolto i suoi conti con il passato.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Fahrenheit 451, letto e commentato con entusiasmo dal gruppo pomeridiano un anno fa, ha suscitato anche nel gruppo serale molto consenso e ha innescato dibattiti animati e stimolanti.

Sebbene l’autore abbia scritto l’opera nel 1953, i lettori concordano sul fatto che sia ancora estremamente attuale per il suo carattere visionario e anticipatorio: la società descritta, in cui le persone vivono alienate dalla costante presenza di schermi che monopolizzano l’attenzione, non risulta essere molto diversa dalla società odierna, dove piccoli schermi sempre con noi ci distraggono spesso da cose più importanti, dalle relazioni, dal contatto con la natura, con i sentimenti e le emozioni.

Nonostante le sfumature cupe, il romanzo è stato nel complesso molto apprezzato pur avendo lasciato un profondo senso di inquietudine per le assonanze con l’attualità e la durezza della visione dell’autore che rappresenta una società che rimuove le emozioni come la tristezza e che rincorre l’evasione e il divertimento, dove la “famiglia” non è più composta da persone, ma da voci che escono da uno schermo e da relazioni virtuali, dove la conoscenza e la cultura sono proibite, dove l’individualità è bandita, dove la scuola ha il compito non di educare e acculturare i bambini ma di intrattenerli e far dimenticare la loro unicità, dove viene esaltata la velocità e la tecnologia e il pensiero e l’approfondimento sono banditi, dove la guerra è accettata e la violenza spettacolarizzata.

La storia, ambientata in un futuro indefinito e dominato da una dittatura onnipresente grazie alla televisione e alla cancellazione forzata della cultura, ha come protagonista Montag: sposato con Mildred, è un pompiere, che nel mondo distopico di Bradbury è colui che interviene per bruciare i libri, nemici del sistema perché innescano dubbi, opinioni e divergenze (il titolo del romanzo si riferisce alla temperatura alla quale i libri prendono fuoco). Sono pochi infatti, i sovversivi che nascondono libri nelle loro case.

La vita del protagonista scorre mediocre e superficiale finché non si verificano due eventi: l’incontro con Clarisse, una ragazza che vive in una famiglia dissidente che non ha televisori e che non si fa condizionare da quello che il sistema impone. Clarisse crede nella libertà e nella felicità e grazie a lei Montag comincia a mettere in discussione le certezze della sua vita, annebbiata dalla tecnologia, che gli preclude ogni riflessione ed ogni libertà di scegliere ed essere. In seguito, il terribile incendio in cui una donna muore con i propri libri pur di non separarsene porterà Montag a ribellarsi al regime.

Clarisse e Mildred sono due figure antitetiche (interpretate nell’adattamento cinematografico di Truffaut dalla stessa attrice, Julie Christie). La ragazza rappresenta la “coscienza”, l’unica figura rimasta umana, che non si è fatta sovrastare dal sistema, capace ancora di porsi delle domande e di cogliere il lato poetico della vita; Mildred, al contrario, è l’esempio perfetto dell’oblio in cui vive come cittadina succube, quasi robotica, che arriva a tradire il marito pur di salvarsi la vita e mantenersi conforme al sistema. Montag appare non come un eroe, ma come un uomo pieno di insicurezze che intraprenderà un percorso di risveglio, di resurrezione grazie al sostegno di una guida, che trova prima in Clarisse e poi nell’ex professore Faber, il quale lo porterà a conoscere gli uomini-libri, ognuno dei quali impara a memoria un libro. Insieme a loro Montag intraprenderà un lungo viaggio verso la consapevolezza e la costruzione di un mondo in cui la memoria torni ad avere valore. I lettori hanno concordato anche sull’ambiguità del capitano Beatty: sebbene sia artefice e parte integrante del sistema, il suo arrendersi alla morte lascia percepire come in fondo le sue certezze si fossero incrinate.

Lo stile di Bradbury è complesso e non sempre scorrevole perché ricco di ellissi, lunghi monologhi, metafore e sinestesie che nel testo originale rivelano una musicalità e un ritmo dal grande impatto. Il testo è denso e ricco di significati e di simboli, come quello del fuoco che inizialmente rappresenta la distruzione e poi, verso la fine, simboleggia la rinascita e la sopravvivenza.

Leggi la pagina 21 di questo libro.