L’angioletto di Georges Simenon

La sfida di Simenon in questo libro è quella di costruire un personaggio del tutto positivo, immacolato, un puro di cuore, un essere felice… ma in un contesto disperatamente povero, sordido, nella Parigi dell’Ottocento. Louis è una creatura che nella realtà non può esistere ma alla quale forse tutti aspiriamo, un angioletto laico, la purezza che riesce a sopravvivere dentro l’inferno, capace di stupirsi per i colori del mercato all’alba o un sussurro dentro un vicolo, dotato di occhiali speciali per vedere la grandezza nelle piccole cose. Un personaggio talmente estremo nel suo ottimismo imperturbabile da apparire a volte anaffettivo: tra i lettori si è accesa infatti una vivace discussione tra chi, pur apprezzando la storia e la buona scrittura di Simenon non è stato propriamente conquistato da questo libro e dal suo protagonista, e chi invece ha amato Louis perché è un mite ed è vero, anche nella sua stranezza, ed ha citato la forza delle ultime due pagine del libro in cui, facendo una sorta di bilancio della sua vita, il narratore dice di lui: “Non aveva forse tratto qualcosa da tutto? Da tutti?”. E questo gli basta per dare un senso alla sua vita, una vita in cui ha trovato la propria realizzazione come artista, come pittore (forse la vicenda è ispirata alla biografia di Chagall).  Un altro intenso passaggio è quello in cui la madre chiede a lui bambino se è felice, ed egli le risponde: <Ho te>.

Ad alcuni lettori che hanno visto in Louis una apatia  di fondo, altri hanno obiettato, riferendosi ad altri episodi oltre alle citazioni suddette, che l’angioletto non è apatico, anzi è profondamente umano, possiede valori e pulsioni non meno forti, semplicemente è incapace di sentimenti negativi. Oggi nella contemporaneità Louis sarebbe catalogato come un diverso, a scuola avrebbe disturbi specifici di apprendimento, ma come personaggio letterario vuole incarnare un messaggio, quello della sfida accettata da Simenon. Forse questo strambo angioletto può apparire distaccato perché la scelta di Simenon è di utilizzare un narratore in terza persona che sembra raccontare dal di fuori: se la storia fosse narrata in prima persona probabilmente ci sentiremmo più coinvolti come lettori e Louis ci apparirebbe più reale e convincente.

Si tratta sicuramente di un libro diverso da quelli a cui Simenon ci ha abituato: siamo lontani da Maigret! Una lettrice, a questo proposito, consiglia la lettura di un altro libro atipico dello stesso autore che a lei era piaciuto molto: Marie del porto.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Amara Lakhous

Questa lettura ha incontrato il favore dell’intero gruppo e ha suscitato un ricco confronto a suon di citazioni, ma tutte per rafforzare il buon giudizio sul libro, tanto che alla fine dell’incontro, dopo aver scoperto che Lakhous è solito rispondere alle mail che gli si scrivono, è nata la proposta di invitarlo a Cavriago per poterlo “interrogare” approfonditamente su alcuni dubbi relativi a trama o personaggi. Del resto l’autore era venuto nel nostro paese nel 2005 proprio per presentare il libro appena uscito. Si tratta di una storia corale dove ogni inquilino del condominio in cui è stato commesso l’omicidio racconta con convinzione la sua verità, senza mai confrontarsi con gli altri, dal momento che in questo mondo multiculturale non esiste possibilità di dialogo ma ogni capitolo coincide con un punto di vista.

La vera vicenda non riguarda l’apparente giallo da risolvere, bensì le diverse facce della società contemporanea con le sue contraddizioni e  i suoi pregiudizi: quadro quanto mai attuale, tratteggiato con grande bravura linguistica ma anche con la giusta dose di ironia che percorre un po’ tutte le narrazioni dei condomini. A fare da collante tra i vari resoconti di questa variegata polifonia dialettale, sta il presunto diario di Amedeo, che contiene però molti lati oscuri, a sottolineare l’impossibilità di giungere a una verità.  Al centro, come nel titolo, sta l’ascensore, protagonista, emblema della modernità ma soprattutto luogo metaforico che allude al salire e allo scendere e che rappresenta la nostra società, perché in realtà è un non-  luogo, un luogo di mancati incontri.  E a fine lettura, anche se ci siamo divertiti, soprattutto nelle pagine in cui i personaggi italiani vengono ridicolizzati nei loro preconcetti  e in quelle in cui ben si capisce come gli atteggiamenti razzisti non hanno nazionalità, portiamo con noi un messaggio pesantemente pessimista: la verità non esiste, esiste solo la complessità, e i personaggi non sono che la somma  di tante solitudini.

In particolare ha conquistato i lettori il personaggio di Amedeo – Ahmed che ulula come un lupo ferito e che una lettrice ha accostato all’angioletto che “camminava con la sua fragilità”: chi è veramente Amedeo? Ma anche degli altri personaggi conosciamo solo l’identità che ognuno vuol far credere di sé, potremmo dire pirandellianamente…

Il libro non è affatto banale come apparentemente può sembrare: si legge velocemente e con piacere ma alla fine ci si accorge che se ne possono trarre molte letture diverse, e che di certo andrebbe proposto a scuola per il suo valore civico e non solo letterario.

Leggi la pagina 21 di questo libro.

L’ultimo arrivato di Marco Balzano

Nel 1959 Ninetto, detto Pelleossa, lascia a 9 anni il suo povero paesino ai piedi dell’Etna e con il “Treno del sole” raggiunge Milano per iniziare una nuova vita fatta di lavoro e fatica. La sua storia è un lungo flashback, raccontato da un Ninetto quasi sessantenne, rivissuto durante le notti insonni nel carcere di Opera dove, a causa di un raptus violento e inaspettato, sta per finire di scontare la sua pena. Uscito dal carcere, Ninetto troverà una Milano profondamente cambiata: le fabbriche sono state chiuse, gli alveari non sono più occupati da migranti italiani ma da gente di ogni etnia, i negozi sono cambiati, le strade sono ormai diverse e piene di palazzi altissimi, i posti dove ha lavorato non esistono più e la sua capacità di reintegrarsi nella società sembra sgretolata, sfumata per sempre. La sua grave colpa gli impedisce di trovare conforto nella sua famiglia, e solo la moglie, l’amata Maddalena, gli resta accanto con il suo carattere spigoloso ma vigile nei confronti del marito. Con un linguaggio dialettale, sgrammaticato, Ninetto racconta la sua storia: un’infanzia nella fame, ma anche avventurosa e movimentata con l’approdo a Milano e i primi lavori. A 15 anni, poi, l’ingresso in Alfa Romeo dove trascorrerà 32 anni alle catene di montaggio: la vita da adulto in fabbrica scorre indistinta, con l’unico pensiero di faticare e offrire alla figlia benessere e un futuro migliore.

Il libro è piaciuto a tutti i lettori per l’intensità della vicenda e della voce di Ninetto: nel suo flusso di coscienza, nel suo racconto semplice e diretto si inseriscono riflessioni, suggestioni, ricordi di grande profondità e con poche e incisive parole Ninetto tocca l’anima del lettore. La sua vicenda drammatica e penosa e il modo così personale di raccontarsi e di raccontare le diverse sfumature di dolore, sofferenza, fatica, prostrazione, apatia hanno coinvolto tutti i lettori.

Il romanzo tocca molti temi, di grande attualità: miseria, lavoro minorile, immigrazione al Nord, mondo del lavoro e delle fabbriche, alienazione nelle grandi città, famiglia e radici, difficoltà di riscatto, emigrazione di oggi. È un esercizio di memoria che ci aiuta a leggere il presente, dove da altri luoghi, bambini soli affrontano un lungo e disperato viaggio alla ricerca di un futuro migliore.

Il protagonista compie molti viaggi, dalla Sicilia a Milano, su e giù per l’Italia, ma anche tra le vie della città come corriere/tuttofare e come solitario disoccupato. Ma il vero viaggio è dentro se stesso, alla ricerca di una pace che sembra non arrivare mai. Il gruppo si è confrontato sulla possibilità di Ninetto di raggiungere un vero riscatto, ma il romanzo sembra non lasciare molte speranze: Ninetto non riesce ad evolvere, non riesce a cambiare, ad aprirsi al mondo e, nonostante gli anni e le esperienze passate, rimane il picciriddu diffidente e chiuso. Ne è la prova la sua incapacità di chiedere scusa per il rigurgito bestiale e violento che l’ha portato in carcere, di esprimere i suoi sentimenti alla moglie e alla figlia. Quando finalmente riesce a trascorrere del tempo con la nipotina, lo utilizzerà per raccontarle la sua storia e per farle vedere l’Alverare, squallido dormitorio di poveri immigrati, portando con sé un coltello, retaggio di un’infanzia brutale e violenta.

Forse l’unica possibilità di riscatto e di fuga sarebbe potuta arrivare attraverso la cultura, coltivando quel desiderio di imparare che animava Ninetto fin da bambino, catturato dalla poesia di Pascoli e dall’indimenticabile maestro Vincenzo. Rimane però un sogno non realizzato. E Balzano sembra proprio dirci che dove più c’è miseria e povertà, più c’è bisogno di cultura.

Alcune scene sono rimaste particolarmente impresse nei lettori: il viaggio verso sud a ritrovare le famiglie d’origine in Sicilia e Calabria, le tenerezze di Maddalena verso la mamma, il peregrinare tra le fabbriche abbandonate ormai reperti archeologici di un mondo che non esiste più, il rocambolesco matrimonio all’alba con il parroco sotto minaccia.

Leggi la pagina 21 di questo libro.