Insieme per ricordare, ispirare, costruire futuri.

Il Percorso donne di Pace ha visto la collaborazione del Comune insieme alla Scuola di Pace di Monte Sole, in particolare con Stefano Merzi che ha condotto gli incontri e i laboratori. La Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole, nata nel 2002, ha lo scopo di promuovere iniziative di formazione ed educazione alla pace, alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, al rispetto dei diritti umani, per la convivenza pacifica tra popoli e culture diverse, per una società senza xenofobia, razzismo ed ogni altra violenza verso la persona umana ed il suo ambiente.

Il percorso partecipativo si inserisce all’interno del progetto più grande legato alla seconda edizione del Festival Direzione Europa dedicato al tema della Pace e ha come obiettivo finale e concreto l’intitolazione di uno spazio pubblico ad una donna di pace.

Gli incontri sono stati quattro (6 e 20 marzo, 3 aprile e 8 maggio) della durata di due ore (dalle 20.30 alle 22.30), e si sono tenuti al Multiplo. nelle serate del giovedì. Gli iscritti erano 19 ma effettivamente a partecipare agli incontri sono state una quindicina di persone, la maggior parte delle quali non erano cittadini cavriaghesi.

I primi due incontri sono stati più di conoscenza, di spiegazione degli obiettivi, di contestualizzazione storica e lavoro laboratoriale sulla gestione dei conflitti e sulla memoria. Gli ultimi due si sono invece incentrati di più sulla scelta della donna a cui intitolare il parco attraverso l’effettivo esercizio democratico e il confronto attivo. Confronto che è continuato sul gruppo whatsapp anche durante tutto il mese prima dell’ultimo incontro.

Il gruppo era praticamente unanime nel voler dedicare lo spazio a una figura dimenticata o la cui storia di resistenza e lotta fosse passata inosservata rispetto alle gesta eroiche maschili. Donne sconosciute che però hanno combattuto nella loro quotidianità. Inizialmente quindi l’idea era quella di non identificare solo una figura ma dare un nome collettivo che potesse contenere tutte le storie ignote.

Grazie anche alla sollecitazione dell’amministrazione, si è alla fine arrivati alla scelta di trovare una donna a cui dedicare il parco del Multiplo, mantenendo però anche un nome collettivo per mantenere l’idea iniziare del gruppo rilanciando anche la volontà di far emergere le tante storie di donne purtroppo dimenticate.

Giovedì 9 maggio il gruppo, all’unanimità, ha quindi deciso di intitolare il Parco a Diva Boni e a tutte le altre “scalmanate” che continuano a raccogliere papaveri rossi.

DIVA BONI

(scritto di Brunetta Partesotti dopo l’incontro con Simonetta Gualerzi, figlia di Diva)

Nacque il 17 febbraio 1922, Diva: un nome ben lontano dai nomi di “santi” che si era soliti dare ai nuovi nati, perché il padre, fervente anarchico, voleva essere certo che i suoi figli si distinguessero anche nel nome. Erano quattro sorelle e un fratello, Onder. A soli nove anni Diva si dovette far carico della famiglia a causa della malattia della madre, e appena fu possibile venne mandata a lavorare, prima al Tessificio Govi e poi alla Cremeria Emiliana. Intorno a lei il regime era diventato “terribilmente spietato”, come scrive in una sua intensa memoria manoscritta. Negli anni ’39-‘40 la persecuzione verso gli oppositori si era fatta pesante, soprattutto nei confronti dei militanti comunisti come Onder, arrestato e condannato a cinque anni di carcere dopo essere stato processato dal Tribunale Speciale. Ma anche gli altri membri della famiglia Boni, tenuta sempre sotto controllo, vennero percossi e costretti a bere l’olio di ricino, ritenuti pericolosi sovversivi. Diva aveva allora solo 17 anni ma sentiva l’urgenza di “fare qualcosa”, così si iscrisse al Partito Comunista dove militò insieme ad altri giovani come Rossi Ginepro, Lino Tirelli e Gilli Pelegher. La figura che più incise sulla sua formazione politica fu però Lucia Sarzi, con il suo teatrino delle marionette che serviva come copertura di quella preziosa attività di raccolta fondi per il Soccorso Rosso. Da Lucia imparò che l’impegno politico non deve essere disgiunto dal dovere di studiare: Il capitale di Marx anzitutto, ma anche La madre di Gorkj e Il tallone di ferro di London, per avere gli strumenti culturali necessari a comprendere le ragioni della lotta antifascista e agire consapevolmente.

Attraverso Lucia, Diva entrò in contatto con i fratelli Cervi, in particolare Aldo, e nel frattempo partecipava alle azioni clandestine come la stampa e distribuzione di volantini.

Nel 1943 Diva fu contattata da Angelo Zanti, tornato dal confino e divenuto responsabile e coordinatore dei gruppi partigiani di pianura e di montagna. Il segnale di riconoscimento concordato era “raccogliere papaveri rossi”. Nel loro primo incontro Zanti le prospettò la svolta imminente nella lotta partigiana: era necessario coinvolgere la popolazione tutta nella lotta antifascista e nel sostegno ai resistenti. Fu così che Diva, incaricata da Zanti, costituì il primo Gruppo di Difesa della donna, insieme alle compagne Ida Gilli e Mimma Burani, anch’esse operaie alla Cremeria, con lo scopo di raccogliere indumenti, vettovaglie, cibi da inviare in montagna ai partigiani.

In quegli anni non mancarono le lotte sindacali, come altra forma di Resistenza: alla Cremeria Emiliana furono proprio Diva e le altre ad organizzare uno sciopero, convincendo le operaie in una fase in cui non esisteva ancora l’unità operaia; eppure aderirono tutte e si scioperò, mentre il burro colava dai carrelli. La polizia fascista entrò in fabbrica con le mitragliatrici puntate sugli scioperanti, gridando “Chi sono le scalmanate?” Volevano i nomi delle agitatrici, ma non li ebbero. E lo sciopero si allargò ad altre fabbriche.

Poco dopo, a seguito della diffusione di stampa clandestina e dell’attività che praticava come staffetta, garantendo i collegamenti tra i Cervi, le brigate partigiane e lo stesso Giuseppe Dossetti, anche Diva venne arrestata.

Il momento più tragico, nelle sue memorie, fu quello in corrispondenza dei martiri del Quaresimo, quando fu di nuovo arrestato il fratello Onder mentre trasportava, ben nascosti nella bicicletta, documenti compromettenti. Venne portato al carcere dei Servi, mentre Diva, con un pretesto, riusciva a farsi restituire la bicicletta col suo “carico” non trovato.

L’ultimo ricordo di Diva si colloca al 13 aprile 1945, giorno della grande manifestazione delle donne davanti al carcere al grido di “Fuori i prigionieri, fuori i partigiani!”. Lei e altre furono percosse, ma ormai era finita, dopo pochi giorni fu Liberazione. Quel 25 aprile “fu una gioia, quasi come domenica”.

Diva Boni ci ha lasciato il 15 giugno 2015